I luoghi e
gli avvenimenti
Chi era
Mulek?
Oltre a Lehi e alla sua
famiglia (vedi il capitolo “La cocca di Nefi”) ci fu una seconda colonia di
Ebrei che fuggì da Gerusalemme per recarsi nella terra promessa, si tratta del
popolo di Mulek. Mulek era uno dei figli di Sedechia re di Giuda, che al tempo
della morte violenta dei suoi fratelli e delle crudeli torture inflitte a suo
padre per ordine del re di Babilonia era un infante. Comunque la colonia prese
il suo nome, probabilmente per il suo riconosciuto ed ereditario diritto alla
guida: furono infatti denominati “mulekiti”. Così, al popolo dei Giarediti
proveniente dalla torre di Babele, alla stirpe di Manasse, tramite Lehi e a
quella di Efraim, tramite Ismaele andò ad aggiungersi, sul continente
americano, anche la stirpe di Giuda, tramite i Mulekiti.
Le Sacre Scritture ci
dicono che i discendenti di questa colonia furono scoperti dai Nefiti ai tempi
di Mosia; essi si moltiplicarono, ma non avendo le Scritture che potessero
guidarli, caddero in uno stato di tenebre spirituali. I Mulekiti si unirono ai
Nefiti e la loro storia a questo punto si fonde con quella della nazione più
grande; i Nefiti dettero il nome di “Terra di Mulek” a una parte del Nord
America.
Considerazioni sul tipo di natante
Non abbiamo alcuna
descrizione di come fossero realizzate le navi dei Mulekiti pertanto possiamo
fare solo delle ipotesi. Ma qualsiasi ipotesi che noi possiamo fare deve tener
conto di due considerazioni di fondo:
1) I Mulekiti
non avevano con sé le Sacre Scritture, il che dimostra che avevano una fede
molto labile, questo era un popolo senza guida divina. Rilevato questo ne
consegue che essi avevano difficoltà ad avere rivelazioni da Dio tali da
costruire navi innovative che potessero sostenere un viaggio motivato per uno
scopo specificatamente divino.
2) I Mulekiti
avrebbero potuto costruire o acquistare navi secondo la conoscenza della
tecnica marinara dei loro tempi e con tecniche e materiali reperibili in loco.
Siamo nel 589 a . C. e per la costruzione
delle navi di quell’epoca si utilizzavano due tecnologie prevalenti: una per le
navi di papiro e l’altra per le navi in legno.
Considerazioni sulle navi di papiro.
Il leggendario
esploratore norvegese Thor Heyerdah, famoso per le sue avventure del Kon-Tiki,
nella sua ricerca sulle navi di papiro fa rilevare che gli Indiani Americani,
al tempo della loro scoperta da parte degli Europei, costruivano delle grandi
navi di papiro, identiche a quelle usate sul Nilo dagli antichi Egizi. Egli
aveva infatti scoperto che queste navi erano state in uso nel Messico al tempo
della sua scoperta; che venivano usate in zone diverse del Mediterraneo, dalla
Mesopotamia all’Egitto, tra le isole della Grecia ed in Sardegna, sino alle
coste atlantiche del Marocco.
La pianta che veniva
usata per queste imbarcazioni era il Cyperus papyrus che si trova anche nel
lago Hula in Israele, ora prosciugato.
Secondo Thor Heyerdah le
navi di papiro erano dei buoni natanti, altrimenti quei popoli non le avrebbero
mai costruite, e certamente non avrebbero continuato a costruirle per secoli e
per millenni.
Inoltre egli fa notare
che gli Egiziani facevano incurvare verso l’alto entrambe le estremità
dell’imbarcazione, la forma adatta per viaggiare negli oceani.
Contrariamente a quanto
si possa pensare, da un punto di vista strutturale, erano anche delle buone
navi grazie alla loro elasticità.
Considerazioni sulle navi di legno.
All’inizio gli egiziani
costruivano le loro imbarcazioni in legno con legni di acacia e di fico
sicomoro che crescevano spontanei nel loro territorio. Ma già nel 2650 a . C. essi facevano
arrivare i tronchi di cedro dalla costa fenicia, l’attuale Libano. Un antico
scriba egiziano elencando le opere del
faraone Senefru scrisse, infatti, che ben 40 navi, ognuna lunga 56 metri , andarono a
prelevare questi tronchi di cedro. E’ sorprendente che nel 1954 sia stata
ritrovata, sepolta sotto la piramide di Cheope (2500 a . C.), un’imbarcazione
in legno di cedro lunga 43,6
metri e con una larghezza di 5,7 metri e con una
stazza di 94 tonnellate! Aveva una grande vela quadrata e lo scafo aveva una
costruzione a guscio, cioè prima veniva costruito il fasciame e poi venivano
inserite le strutture interne. Le tavole venivano cucite fra loro da un filo
che passava attraverso dei fori praticati nelle tavole stesse.
Per evitare la
deformazione dello scafo su questa nave appare un grosso cavo che corre da
poppa a prua impedendo così alle estremità dello scafo di inarcarsi e di
rompersi urtando contro le onde marine. Un ulteriore rinforzo era dato da una
sorta di imbragatura dello scafo composta da due cavi che correvano intorno al
fasciame superiore e che venivano tenuti in forza da un terzo cavo che passava
fra essi a zig zag.
Sulle mura del tempio di
Deir el-Bahari ci sono dei graffiti dove sono raffigurate delle navi veloci che
mostrano l’alto grado di perfezione raggiunto dai costruttori di questa
tipologia navale egiziana: grandi vele molto larghe, con un boma che può essere
orientato a seconda del vento e ben sopraelevato rispetto alla coperta.
Questa tecnologia, molto
adatta per navi veloci, stava diventando però sempre più obsoleta per le navi
adibite ai commerci. Anche in Egitto iniziarono a comparire navi più adatte per
andare per mare e con maggiori capacità di carico. Queste navi erano realizzate
con chiglia che irrobustiva lo scafo in senso longitudinale e le costole che
davano robustezza al fondo consentendo di fissare il fasciame. Furono i fenici
ad adottare per primi questo modo di costruire le navi. Anche gli egiziani
cominciarono ad utilizzare sempre di più questo tipo di nave chiamata dai greci
gauloi a causa della rotondità della
loro carena che, con il loro rapporto di 4 a 1 tra lunghezza e larghezza, garantivano la
massima stabilità nelle intemperie assieme ad un’ottima capacità di carico. Il termine fenicio era golah da cui probabilmente deriva il
termine italiano goletta.
Conclusioni.
Essendo a quei tempi la
tecnologia delle navi in legno il trend evolutivo nella costruzione delle navi
che dava maggior affidabilità nella navigazione oceanica e permetteva di
sfruttare meglio sia le caratteristiche di stivaggio sia la manovrabilità della
nave stessa, ritengo che non ci fosse motivo di utilizzare navi di papiro.
Il fatto che gli indiani
americani utilizzassero navi costruite con il papiro non vuol dire che i loro
avi siano arrivati sul nuovo continente con tali natanti. Visto che le navi,
ancora nel 2650 a .
C., venivano costruite in legno, questi popoli potevano benissimo utilizzare per
la traversata oceanica, nel 589
a . C., le navi di legno e non di papiro. È possibile che
essi, provenendo poi da luoghi dove si conosceva la tecnologia del papiro
abbiano, una volta insediatisi nei nuovi territori, utilizzato questa loro
esperienza per realizzare natanti più consoni alle paludi, laghi e fiumi.
Inoltre, delle famose ed
ottime navi fenici se ne parlava, a quei tempi, anche nella Bibbia e la colonia
dei giudei, detti Mulekiti, non potevano non esserne consapevoli. Nella Bibbia
si legge:
“O Tiro, tu dici: Io sono di una
perfetta bellezza. Il tuo dominio è nel cuore dei mari; i tuoi edificatori
t’hanno fatto di una bellezza perfetta; hanno costruito di cipresso di Senir (monte
Hermon) tutte le tue pareti; hanno preso
dei cedri del Libano per fare l’alberatura delle tue navi; han fatto i tuoi
remi di quercia di Bashan (alture del Golan), han fatto i ponti del tuo naviglio d’avorio incastonato in larice,
portato dalle isole di Kittim (Cipro). Il
lino fino d’Egitto lavorato a ricami, t’ha servito per le tue vele e per le tue
bandiere.” (Ezechiele 28:3-7)
Faccio notare che
Ezechiele scrisse queste parole in un periodo che va dal 592 a .C. al 570 a . C., pertanto nello
stesso periodo storico della partenza della colonia dei Giudei da Giuda.
I Mulekiti, pertanto,
possono benissimo aver acquistato le navi dai Fenici ed averle pagate come dice
la Bibbia:
“Giuda e il paese d’Israele
anch’essi trafficano teco, ti danno in pagamento grano di Minnith, pasticcerie,
miele, olio e balsamo.” (Ezechiele 27:17).
Le navi dei Mulekiti
È ragionevole pensare che
la colonia dei Mulekiti utilizzasse navi in legno. Queste navi potevano essere
benissimo delle navi onerarie (dal verbo onerare che vuol dire gravare,
caricare) cioè navi mercantili chiamate Gauloi,
dalla parola fenicia “gal” che significa tondo, ed avevano i fianchi arcuati
(fig. 54).
Queste navi erano lunghe normalmente tra i
venti e i trenta metri e larghe tra i quattro e i sette metri, avevano un
pescaggio di circa un metro e mezzo, analogo all’altezza della fiancata emersa.
La carena, fortemente
convessa, era protetta in tutta la parte sommersa, da una copertura di lamine
di piombo, assicurato al fasciame con chiodi di rame, bronzo o anche di ferro.
Questo rivestimento impediva la marcescenza e l’attacco da parte delle
teredini, parassiti che forano il legno. Tra tale rivestimento ed il fasciame
veniva disteso uno strato di bitume, grazie al quale si rendeva stagna la nave.
La chiglia era estroflessa e tondeggiante e terminava a prora con la ruota e a
poppa con il dritto, entrambi molto arcuati e leggermente rientranti.
La linea di
galleggiamento, che rappresentava anche la linea di massima espansione della
nave, era accentuata da un trincarino estroflesso che, oltre a irrobustire il
fasciame, serviva a parare i bordi. Sopra il trincarino e separata da un breve
tratto di fasciame, era sistemata la soglia che rappresentava l’estremo limite
del ponte di coperta e l’origine del parapetto, anch’esso, come del resto tutto
il fasciame, composto in prevalenza da corsi disposti longitudinalmente,
accostati di taglio e calafatati secondo il sistema “latino”.
All’interno dello scafo,
i corsi del fasciame erano appoggiati e imperniati con cavicchi alle ordinate,
sulle quali, a loro volta, si appoggiavano i dormienti. Sovrapposto ai
dormienti inferiori e a copertura della sentina, era sistemato un pagliolo. Tra
la carena e il pagliolo era situata la zavorra, costituita da schegge di
pietra.
La parte inferiore della
stiva poteva servire per l’immagazzinamento delle provviste e dell’acqua
potabile. La parte più alta della stiva, con l’aggiunta di appositi tramezzi,
poteva essere utilizzata come zona per i passeggeri.
Al di sopra della stiva
era il ponte di coperta. A poppa e a prua si ergevano il cassero e il castello.
Il ponte di coperta e il cassero erano forniti di un parapetto normale, posto a
continuazione del fasciame.
Aveva un solo albero
verticale, a volte sormontato da una coffa, con un pennone brandeggiabile sul
quale veniva fissato l’unico mezzo di propulsione che era la vela di lino detta
quadra anche se in realtà era più
larga che alta. Le manovre correnti erano costituite da una o più drizze, che
servivano a issare il pennone, e da un certo numero di caricamezzi che
servivano a imbrogliare e a bordare la vela. Si poteva prendere il vento
passando da andature a fil di ruota fin quasi di traverso.
La poppa terminava con un
motivo decorativo a spirale, mentre nella parte anteriore la prua era ornata
con una testa di cavallo.
In basso, sopra la linea di galleggiamento, vi
erano disegnati due grandi occhi.
La direzione della nave
veniva data per mezzo di un remo di governo, che non era applicato all’estrema
poppa bensì su uno dei suoi lati, prevalentemente quello di sinistra.
L’ancora poteva essere in
pirozenite e di forma trapezoidale.
Provviste
Ovviamente, come viveri,
i Mulekiti certamente avranno stivato animali vivi da macellare all’occorrenza,
pesce conservato sotto sale, frutta secca, cereali, olio, acqua, vino, ecc.
Come contenitori, a quei
tempi, si usavano i pithoi che erano delle grandi giare da trasporto senza
maniglie.
Venivano usati anche
canestri in fibra vegetale, e in parte intessuti con fibre graminacee, chiusi
con bordo di legno cucito a sacco e ricoperti di pece all’interno.
Certamente nella lista
degli alimenti non sarà mancato il garum (molto usato dai romani) che era una
salsa di pesce ottenuta dalla fermentazione di alcuni pesci ad opera dei loro
stessi enzimi e in presenza di sale in funzione antisettica. Questo era un
condimento altamente proteico ed è stato per molto tempo l’ingrediente
principale della cucina antica.
La rotta possibile
La rotta
Verso il 589 a .C. la colonia dei
Mulekiti partì da Gerusalemme e dopo aver attraversato l’oceano sbarcò sulla
costa settentrionale del continente americano.
Il loro viaggio ebbe
prima un itinerario via terra: da Gerusalemme essi attraversarono il deserto
passando per l’Egitto e la Libia per poi arrivare al porto di Cartagine che si
trovava sulla costa Nord dell’attuale Tunisia. Questa città fu fondata dai
coloni fenici (814 a .C.)
provenienti da Tiro (fig. 55).
I fenici, favoriti
dall’ubicazione logistica di Cartagine allargarono la loro influenza sul Mediterraneo
controllando la Sardegna, Malta, le isole Baleari, parte della Sicilia ed
avevano anche colonie in Spagna. Nel periodo in cui arrivarono i Mulekiti,
Cartagine era il più importante centro commerciale del Mediterraneo
occidentale.
Con le loro navi i
cartaginesi, navigando nell’oceano atlantico, arrivarono lungo la costa
Africana, fino alla Sierra Leone e a nord raggiunsero la Cornovaglia. Pertanto
i Mulekiti poterono acquistare, a Cartagine e non a Tiro, navi fenice in grado
di solcare l’oceano e questa opportunità che Cartagine dava loro era forse la
motivazione che invece di utilizzare il porto di Tiro (molto più vicino), li
portò a camminare nel deserto per raggiungere il porto africano.
Si presume che la
navigazione dei Mulekiti sia iniziata verso il mese di Marzo in quanto i
fenici, per motivi climatici, usavano navigare nel periodo che va da Marzo ad
Ottobre.
Da Cartagine, dove si
imbarcarono, navigarono nel Mediterraneo fino a superare lo stretto di
Gibilterra per poi seguire i venti verso sud e le correnti delle Canarie e
quindi, grazie ai venti alisei, verso ovest fino ad entrare nel golfo del
Messico e a sbarcare sulla costa settentrionale.
L’orientamento veniva
garantito tramite l’osservazione della costellazione dell’Orsa minore allora
nota anche come “Stella Fenicia”.
La velocità di queste
navi non andava oltre i tre nodi; equivalendo un nodo ad un miglio nautico,
cioè a 1852 metri ,
la velocità massima raggiungibile era di 5,55 Km/ora. Se consideriamo che i
Mulekiti abbiano tenuto una velocità media di circa 1,5 nodi/ora (circa 2,8
km/ora) il loro viaggio, nel tratto via mare, è possibile sia durato non meno
di circa 200 giorni e pertanto essi poterono approdare sul nuovo continente
verso Ottobre.
Questa fuga da Gerusalemme
dei Mulekiti mi riporta alla memoria le recenti traversate degli Albanesi nel
mare Adriatico per raggiungere l’Italia stipati all’inverosimile su fatiscenti
peschereggi. Molto probabilmente i Mulekiti non navigarono su navi nuove e,
contrariamente agli Albanesi, dovevano anche stivare molti viveri data la
lunghezza del loro viaggio. Questi tempi lunghi di traversata portava loro
anche il grande pericolo di malattie ed epidemie per cui certamente non tutti
quelli che sono partiti ebbero la possibilità di vedere la nuova terra.
I Mulekiti nella civiltà Olmeca
I Mulekiti erano sbarcati
nell’America centrale verso l’anno 585 a .C. senza avere con sé le Sacre Scritture
che riportavano la loro storia, la loro lingua e la loro religione. Ricevettero
però la cultura dei Giudei verso il 200 a .C. da altri discendenti della tribù di
Giuda: cioè dal popolo di Zarahemla (Nefiti), guidato dal re Mosia (Omni 1:14).
Questo permise loro di recuperare la loro religione originaria e di integrarla
con la loro specifica storia di cui avevano memoria direttamente, cioè
l’eccidio da parte dei Babilonesi dei figli di Sedechia, re di Giuda, che li
aveva portati in questa nuova terra.
A testimonianza di tutto
questo, oltre alle similitudini religiose che si trovano nella deità dei popoli
del Centro America come quella rappresentata da Quetzalcoalt, si ergono gli
archeologi che conoscono il contenuto del Libro di Mormon. Essi ravvisano
infatti in maniera sorprendente la storia dell’eccidio dei figli di re Sedechia
(Geremia 52:10) in due rappresentazioni scultoree degli Olmechi, che si trovano
al Museo La Venta di Villahermosa, Tabasco, Messico (figure 56 e 57).
Post tratto dal libro "il geo-cristianesimo" di Piero Durazzani
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