IL POTERE DELLA
“SANA LIBERTÁ”
DI JOSEPH SMITH
Per comprendere la trasformazione che oggi tende a cambiare gli stili di gestione e di comando delle persone occorre fare una fotografia del cambiamento che c’è in atto ormai da alcuni decenni. Vediamo allora come cambiano i trend passando dalla realtà tradizionale a quella emergente:
- dalle regole dell’era industriale alle regole dell’era multimediale con conseguenza di maggior acculturamento e pertanto più esigenza comunicazione;
- dall’economia stabile all’economia incerta con conseguenza di aumento delle necessità personali e pertanto ad una maggior interazione con le loro persone di riferimento;
- dai mercati stabili ai mercati fluidi e pertanto più conoscenze multiculturali, immigrazione, con conseguente necessità di gestire un maggior pluralismo;
- dalla catena di montaggio ai servizi personalizzati che richiedono flessibilità dirigenziali;
- dalla concorrenza domestica alla concorrenza internazionale con conseguente interazione comunicativa globalizzata;
- dalla forza muscolare alla forza cerebrale e pertanto più valore al pensiero personalizzato che al fare fisico.
- dalla tecnologia meccanica alla tecnologia elettronica;
- dall’innovazione tecnologica prevedibile in un arco di 10 anni a quella rapida e imprevedibile dei prossimi 2 anni e pertanto grande flessibilità nel campo della comunicazione informatica e di accettazione delle novità.
- dall’accettazione di ruoli gerarchici autoritari ad una crescente aspettativa di coinvolgimento dei followers (coloro che seguono la leadership);
- dai lavoratori maschi e stabili alle donne e alle minoranze con conseguente attenzione e valorizzazione delle loro culture e necessità.
- da un tasso di natalità crescente ad un tasso di natalità decrescente che porta ad una popolazione sempre più anziana che reclama su di se la propria attenzione.
- da valori materiali esterni a valori interni orientati alla qualità della vita cioè più attenzione a come si viene trattati e considerati.
Questi trend stanno cambiando la società. Le persone evidenziano sempre di più comportamenti obsolescenti in quelle leadership che non hanno posto in atto un cambiamento al loro stile dirigenziale.
I cambiamenti più evidenti e proficui si notano sempre di più in quelle aziende multinazionali che hanno necessità di gestire le sfide professionali in maniera sempre più efficace e nelle università private di alto livello culturale.
Gli ambienti invece che sono rimasti, da un punto di vista della leadership e del management fermi al passato, li possiamo evidenziare sempre di più, oltre che ad alcune piccole aziende padronali, in alcune comunità religiose e partiti politici. Queste realtà non si pongono il problema dei cambiamenti positivi della nostra società che vede sempre di più le persone nella loro completezza le quali tendono alla necessità di valori interiori. In queste comunità la gerarchia ha ancora una valenza di comando anziché di coinvolgimento e tanto meno di “sana libertà”.
Questa è anche una delle cause di rifiuto ad entrare in queste realtà da parte delle persone in quanto verrebbero gestite trascurando a volte la loro evoluzione culturale, quella positiva, con un approccio di stile dirigenziale non adeguato alle aspettative di coinvolgimento che le giovani generazioni acculturate si aspetterebbero.
La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni non risente normalmente di questo problema grazie ad una leadership all’avanguardia in quanto i suoi dirigenti operano tramite il concetto della “sana libertà” che da potere ad ogni suo follower.
Nell’ambito professionale io sono sempre stato una persona, come tante altre, che aveva bisogno della propria libertà mentale ed operativa per perseguire gli obiettivi che l’azienda mi poneva.
Ho avuto la fortuna di svolgere un lavoro altamente creativo ed ero pagato per essere “me stesso”: intraprendente e creativo. D’altronde senza una riconosciuta effettiva indipendenza, non si raggiungono elevati risultati nel campo della creatività.
L’amministratore delegato della mia ditta ha fatto la sua fama di innovatore e pertanto la sua fortuna professionale sostenendo, accettando e pubblicizzando le iniziative mie e dei miei collaboratori. Questo è il grande insegnamento che lui mi ha dato col suo esempio: fare lo sponsor dei propri collaboratori paga molto di più, in termini di stima e di risultati che fare il dirigista di collaboratori emarginati, strumentalizzati e conseguentemente apatici.
Fare gli sponsor dei propri collaboratori sostenendo le loro responsabilità e il loro operato si favorisce il dialogo, si elimina l’indolenza, si favorisce la creatività, si allarga il coinvolgimento, si sostiene l’iniziativa altrui, si favorisce la trasmissione di fiducia, si preparano le persone a non aver paura di sbagliare, si elimina il controllo nocivo, si rende non utile l’omertà e in ultima analisi si elimina il dirigismo e come conseguenza di tutto ciò… si incrementa il progresso personale.
Questi concetti di dirigenza sono ben conosciuti da chi fa consulenza sull’innovazione e molto meno sono conosciuti nei dirigenti di qualsiasi organizzazione gestionale o amministrativa di lavori ripetitivi che sono portati più a comportamenti basati sull’autorità e la burocrazia.
Ora che sono in pensione sento la mancanza del mio lavoro dove imparavo ed ero formato dall’azienda stessa alla messa in pratica di questi concetti di libertà. Questo tipo di libertà pone fine di fatto al timore dell’anarchia che serpeggia in ogni retrogrado dirigismo quando si parla, appunto, di libertà.
La “sana libertà” è in netto contrasto con l’anarchia in quanto per “sana” si deve intendere un ampia libertà, operativa e decisionale, ma che si sviluppa, comunque, nell’ambito degli obbiettivi ricevuti con un maggior successo degli stessi.
L’anarchia, che un dirigente potrebbe attribuire ai collaboratori dallo spirito libero, non sarebbe altro che una conseguenza del modo di concepire il suo stile dirigenziale che è dirigistico, cioè fatto di inopportuni interventi decisionali e controllo nelle attività dei propri collaboratori, per cui anche la sola parvenza di tale anarchia lo mette in allarme perché mal si concilia col suo autocentrismo decisionale.
Il più grande esempio che io ho conosciuto nel saper trasmettere il concetto della “sana libertà” è Joseph Smith. Egli disse:
“Io insegno i principi giusti e lascio che gli altri si governino da soli”.
Questa frase, in poche parole, racchiude tutta la potenziale capacità che ha un dirigente per diventare un vero pastore di anime.
Ma quando insegniamo la pratica senza i principi, tendiamo a rendere le persone dipendenti da noi o da altri per ulteriori istruzioni.
Se vogliamo perseguire obiettivi di basso livello trattiamo pure i nostri collaboratori come degli schiavi: comandiamoli in tutto. Joseph Smith ne era pienamente consapevole, sapeva che le persone troppo comandate reagiscono con apatia e annichiliscono il loro pensiero e creatività rendendo sterile la potenziale “sana libertà” che ognuno di noi ha.
Egli ebbe a dire in proposito:
“…non è opportuno che io comandi in ogni cosa; poiché colui che è costretto in ogni cosa è un servitore indolente e non saggio…”
Se vogliamo invece perseguire obiettivi elevati bisogna tenere in considerazione l’individualità altrui, come un bene prezioso, della cui diversità ci aiuta ad ampliare e completare la nostra potenzialità.
Il ruolo di un dirigente è servire.
È sostenere i subordinati, eliminare le interferenze per loro.
È creare un’atmosfera di comprensione, fiducia e rispetto.
Oggi, dove le persone sono più acculturate e spesso fornite di un desiderio di “sana libertà”, la capacità di un dirigente consiste nel saper integrare un maggior numero di sforzi autodeterminati.
Io nella Chiesa di Gesù Cristo dei S.U.G. ho conosciuto questa positività di atteggiamenti in quanto ho servito direttamente sotto la direzione di veri sponsor cioè, detto nel gergo evangelico, erano dei pastori in quanto promuovevano la “sana libertà”.
Chi vuole approfondire questo tipo di stile dirigenziale basato sulla “sana libertà” gli suggerisco di leggere il libro “Intrapreneuring” di Gifford Pinchot III della Sperling & Kupper Editori.
Penso che questo libro faccia parte di quella categoria di libri a cui Joseph Smith inconsapevolmente si riferiva quando affermava che dovremmo ricercare le cose buone e utili nei migliori libri.
È un libro molto specialistico del mondo imprenditoriale, ma i concetti essenziali espressi sono accessibili a tutti e in linea con il Vangelo.
Riporto qui un passo del libro sopra citato sulla libertà:
“La forzata remissività degli schiavi dei faraoni era sufficiente per costruire le piramidi, ma quella stessa manodopera addetta unicamente a un lavoro fisico non avrebbe mai potuto raggiungere l’obiettivo di John F. Kennedy di portare l’uomo sulla luna entro la fine del decennio. Livelli di cooperazione più elevati che coinvolgano mente, cuore e anima sono possibili solo tra chi è libero”.
La nostra mente si eleva gioiosamente quando siamo in grado di distinguere la differenza che passa fra un anarchico e uno spirito libero, così è del nostro cuore quando doniamo la fiducia agli altri, ed è così la nostra anima quando consente agli altri di dare il loro desiderato e appassionato contributo senza creare barriere psicologiche di costrizioni dirigenziali.
In ultima analisi occorre liberare la forza dell’ iniziativa personale nei collaboratori a tutti i livelli! I followers se non vengono aiutati a ricercare la forza dell’iniziativa personale, diventano delle persone frustate in quanto si tende a privilegiare il controllo esercitato su di loro anziché riporre su di loro fiducia e sostegno per una crescita individuale e anche di gruppo.
Se si vuole dare potere all’iniziativa dei propri collaboratori dobbiamo sostenere il concetto:
“Si può fare tutto quello che non è proibito”.
Se si vuole invece togliere potere basta trincerarsi dietro la dichiarazione:
“Si può fare solo quello che è permesso”.
Una volta venne nel mio ufficio l’Amministratore Delegato della ditta per cui lavoravo.
Riunì me e tutti i miei collaboratori e ci sollecitò ad essere più creativi, a dare corpo alle nostre idee e a rischiare di più.
A un mio collaboratore gli venne spontanea una domanda: “Se diamo corpo ad una nostra idea e poi va male… chi paga?”
L’AD rispose: “Nessuno di voi pagherà, il vostro rischio me lo assumo io e sarete preservati da ogni forma di danno che il nuovo prodotto potrebbe generare. Questo è il prezzo che un’azienda che vuole stare sul mercato facendo innovazione si deve assumere senza scaricare gli eventuali danni su chi, in buona fede, ha generato e realizzato l’idea creativa.”
Persone con questo stile dirigenziale si trovano solo in alcune aziende che per rispondere al mercato devono dare credito e sostegno alla creatività dei propri dipendenti.
Quando ho terminato il mio rapporto di lavoro dipendente mi sono messo a fare il consulente per l’innovazione di prodotto. Sono stato ingaggiato da una ditta turca, con sede a Instambul, che operava sul mercato internazionale degli elettrodomestici.
Questa ditta produceva dei prodotti di buona qualità e con margine di guadagno adeguato ma gli mancavano sia i prodotti innovativi che l’immagine di innovazione. I loro dipendenti, nel settore della ricerca e sviluppo, erano culturalmente molto qualificati (periti od ingegneri), ma avevano una grande carenza creativa che li portava a copiare la concorrenza tramite una sofisticata ricerca di informazioni industriali (bench market) sulla concorrenza.
Essi operavano solo a seguito di precise istruzioni. Il loro operato dipendeva solo dal cervello del loro capo. Se poi si considera che il popolo turco è formato, sia storicamente e culturalmente, da una cultura fortemente militare si comprende come anche gli ambienti di lavoro fossero così dipendenti dalla gerarchia che non lasciava spazio agli intraprenditori.
Insomma un’ industria dallo stile dirigenziale del “paron”.
“Io sono il paron e tu devi fare solo quello che io ti comando”.
Con questa frase i “paron” vogliono sottintendere che tu non devi usare la tua testa ma devi solo obbedire.
Con questo clima sarebbe stato impossibile rendere creativi i progettisti; occorreva un drastico cambiamento nello stile dirigenziale a tutti i livelli.
Allora scrissi un piccolo libretto dal titolo “Niente si crea, tutto si organizza” che trattava come si può sviluppare l’innovazione in una azienda di prodotti di largo consumo. Nel contenuto di questo libretto, fra le altre cose, riportai anche il comportamento che il mio precedente AD ebbe con me e i miei collaboratori.
Occorreva trasformare i progettisti, e non solo loro, in “intraprenditori” cioè imprenditori di se stessi nell’ambito e in coerenza con gli obiettivi aziendali.
Feci convocare una riunione di tutto il personale della progettazione cioè capi, progettisti, tecnici di laboratorio, ecc. nonché tutti i dirigenti che avevano rapporti con la progettazione e l’AD.
Feci la presentazione del contenuto di questo mio libretto a circa 70 persone. La storiella del rischio la lasciai per ultima come sigillo di tutti gli altri aspetti tecnici, organizzativi e gestionali in quanto il messaggio che trasmetteva era prioritario a tutti gli altri argomenti trattati.
Questa storiella ebbe un grande impatto. C’erano alcuni dirigenti in palese imbarazzo, cerano molti progettisti che si sentivano sollevati e apprezzavano molto questo mio intervento. La mia presentazione durò circa un ora ma la discussione che ne seguì ne durò altrettanto. Si formarono gruppetti spontanei che discutevano anche molto animatamente.
Avevo colto nel segno. Ero riuscito a smuovere l’ambiente. Ora in azienda si cominciava a discutere sugli stili dirigenziali da tenere per favorire l’iniziativa e la creatività.
Nel pomeriggio l’AD mi convocò nel suo ufficio e, in presenza di altri due dirigenti, mi fece i complimenti per il contenuto della presentazione e mi chiese una copia del libretto che avevo scritto in italiano perché lo avrebbe fatto tradurre in turco e poi distribuito a tutti i dipendenti. Egli aveva capito che per organizzare l’innovazione occorreva prima di tutto cambiare l’atteggiamento mentale delle persone di cui lo stile dirigenziale dei capi era il punto di partenza al fine di dare potere e protezione ai creativi.
In seguito da alcune confidenziali affermazioni che egli mi fece mi evidenziò che a lui interessava si che tali considerazioni sugli atteggiamenti dirigenziali arrivassero ai progettisti, ma il suo maggiore interesse era quello che i suo collaboratori manager perseguissero un cambiamento nel loro stile dirigenziale, ormai obsoleto e controproducente per un industria moderna e ambiziosa.
La “sana libertà” da potere alle persone nel sapersi gestire con entusiasmo, iniziativa e creatività. È un antidoto all’indolenza mentale, alla paura di sbagliare e nella Chiesa aiuta a porre il concetto di obbedienza evangelica nel giusto rapporto con l’iniziativa personale e la rivelazione divina.
In conclusione la mia esperienza lavorativa mi ha insegnato quanto segue:
- l’addestramento continuo sta alla base di ogni sviluppo personale e di gruppo in quanto porta all’autocontrollo ed elimina il controllo diretto sulle persone;
- la “sana libertà” è l’elemento essenziale che qualifica la leadership;
- la “sana libertà” promuove la voglia di fare;
- la “sana libertà” scaturisce dalla fiducia;
- la fiducia scaturisce dall’amore per il prossimo;
- la “sana libertà” accetta il rischio;
- la “sana libertà” promuove il volontariato;
- la prevaricazione è un sintomo del dirigismo;
- il dirigismo è sintomo di costrizione;
- la costrizione porta all’apatia.
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