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giovedì 5 gennaio 2012

IL PROFETA CHE HA RIMOSSO IL LIMBO

   Dante Alighieri è stato uno dei poeti più grandi che la civiltà occidentale abbia generato. C’è chi lo ha definito la più grande immaginazione della cristianità cattolica.
   Lo scrittore fiorentino s’inserisce con la sua opera nella storicità di quel periodo da lui vissuto in gran parte in esilio, integrato nel cristianesimo di allora.
   Dante, con la sua Divina Commedia, realizza il più grande affresco umano della storia della letteratura. Per tale realizzazione intellettuale, egli abbracciò la filosofia, la scienza, e la teologia.
   Trovò nella cultura cristiana di allora quel linguaggio orientale (allegorie) della Bibbia che l’aiutò a realizzare una colorata rappresentazione del cristianesimo popolare del 1300.

   Tutta la cultura cristiana del Medio Evo aveva ignorato una verità che indusse Dante a porsi un quesito di grandissima rilevanza dottrinale, a cui nemmeno la sua mente fervida e perspicace seppe comunque dare una risposta.

   Siamo nel IV° canto dell’Inferno della Divina Commedia e Dante, destatosi per un forte tuono, si accorge che Virgilio è turbato. Gliene chiede la ragione e quello che lui reputava il suo maestro gli spiega che egli soffre lì in modo particolare perché si trova nel limbo (definizione usata dal cristianesimo tradizionale), il luogo stesso del suo martirio, dove sono quanti non ricevettero battesimo, o morirono prematuramente. Essi non hanno punizione particolare, ma vivono in uno stato di desiderio continuo e disperato di vedere Dio. (1)

“Lo buon maestro a me: <Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo’ che sappi, innanzi che più andi,
ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,
non basta, perchè non ebber battesmo,
ch’è porta della fede che tu credi.
E se furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
e di questi cotai son io medesmo.
Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi,
che sanza speme vivemo in disio.>”
(Inferno canto IV° versetti 31-42).

   I chiarimenti che Virgilio espone, prevenendo la domanda di Dante e intuendone lo smarrimento, hanno l’obiettivo di far comprendere che la condizione di questi spiriti non deriva dal comportamento tenuto da loro nella vita precedente, ma solo dal fatto che non erano stati battezzati.
   La tristezza di quelle anime, anche se hanno una consolante memoria di una vita terrena vissuta senza peccato, evidenzia comunque in loro una dolente rassegnazione.

“Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi,
però che gente di molto valore
conobbi che ’n quel limbo eran sospesi.”
(Inferno canto IV° versetti 43-45).

   In questa terzina, Dante evidenzia la perplessità della ragione e, alla fine, si arrende al “dogma” della dottrina del cristianesimo tradizionale, che insegna che gli spiriti, se pur di grande valore morale, sono condannati a non poter raggiungere la stessa felicità di coloro che nella vita terrena, hanno avuto invece la possibilità di battezzarsi. La preoccupazione di Dante nel constatare questa situazione, mette a dura prova la sua fede.
   Non è Dante, comunque, l’autore di quest’infelice ed errata dottrina: essa è nata nei primissimi giorni dell’apostasia, cioè dell’allontanamento, dai veri insegnamenti di Gesù Cristo.
   Questa dottrina è riecheggiata attraverso tutto il tempo dei secoli bui e di tenebre spirituali e, ripetutamente, ha fatto pervenire la sua angosciante e tormentosa preoccupazione alle persone che cercavano e cercano tutt’oggi la salvezza dei loro morti!

   Il Nuovo Testamento afferma inequivocabilmente che, oltre a Gesù Cristo, “non c’è alcun altro nome dato sotto i cieli tra i figliuoli degli uomini per mezzo del quale noi abbiamo ad essere salvati” (Atti 4:12).
   Tuttavia, centinaia di migliaia di spiriti, forse la maggioranza di tutti coloro che siano mai vissuti, non sono mai stati istruiti sul Vangelo, e forse, nemmeno hanno mai sentito il nome di Gesù Cristo.
   Come possiamo pensare che questa moltitudine di spiriti debba essere persa per l’eternità?
   Se così fosse, come potremmo considerare “giusto” un Padre che tratta in modo diverso i propri figli? Concederebbe a taluni la conoscenza e l’opportunità di contrarre con Lui le alleanze necessarie per ritornare un giorno a vivere alla Sua presenza dopo la resurrezione, mentre le negherebbe ad altri, parimenti meritevoli, solo perché vissuti in tempi e luoghi diversi dai loro fratelli!
   Questa mancanza di misericordia che Dante percepiva nella sua fiction nel mondo degli spiriti, lo lasciava perplesso e disorientato.

“e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch’io non averei creduto
che morte tanta n’avesse disfatta.”
(Inferno canto III° versetti 55-57).

   Dante si sentì obbligato ad assegnare all’Inferno molta gente che ammirava come Socrate, Platone, i grandi filosofi arabi Avicenna e Averroè, e il sultano d’Egitto Saladino, soltanto perché essi non avevano ricevuto il battesimo (vedi Inferno, canto 4).
   Dante dovette escludere eternamente dalla possibilità di “vedere lo cielo” persino la sua guida, compagno e “gentile maestro”, il poeta Virgilio. 

“Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: < Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi all’altra riva
nelle tenebre eterne, in caldo e ’n gelo.>”
(Inferno canto III° versetti 82-87).

   Qui Caronte, il traghettatore che porta i morti nell’Inferno, non fa distinzione fra le anime buone che non hanno avuto battesimo e quelle malvage (prave). Per lui sono tutte anime, buone o cattive che siano, che non potranno mai essere poste in una condizione di felicità; infatti egli dice loro: “Non isperate mai veder lo cielo”.

   Grazie alle rivelazioni ricevute dal Profeta Joseph Smith, noi oggi evidenziamo una più generosa e vasta visione delle possibilità eterne di salvezza. Egli indicò che il Nuovo Testamento parla di una possibilità piena per superare la triste situazione evidenziata con stupore e perplessità da Dante. Come lui, molti non ritrovano in queste credenze quella giustizia divina che invece sarebbe ovvio aspettarsi, poiché è inimmaginabile che Dio non offra a tutti i suoi figli la stessa opportunità!
   Questa possibilità, cioè questa giustizia divina, è chiaramente evidenziata nella stessa Bibbia dove, in I° Corinzi 15:29, l’apostolo Paolo parla di una pratica da molto tempo dimenticata o ignorata dalla cristianità tradizionale, a coloro che già allora cominciavano a dubitare della reale resurrezione che attende ciascuno di noi egli chiede:

“Altrimenti, che faranno quelli che son battezzati per i morti? Se i morti non risuscitano affatto, perché dunque son essi battezzati per loro?”

   Anche la seguente dichiarazione indica che il battesimo celebrato per procura dai vivi a favore dei morti veniva praticato fra i primi cristiani:
“Ma ancora più importante è la testimonianza che ci perviene dagli atti del concilio di Cartagine, tenuto nel 397 d.C., che indica chiaramente che i cristiani di quel periodo praticavano il battesimo per procura per i morti, poiché nel sesto canone di quel concilio la chiesa dominante proibì di continuare a celebrare il battesimo per i morti. Perché sarebbe stato necessario emettere un canone contro quest’uso, se tra i cristiani di quel periodo non fosse esistito l’uso di tale battesimo?” (Mark E. Petersen, Utah Genealogical and Historical Magazine, aprile 1933, p. 63).

   Benché il battesimo per procura sia solo brevemente menzionato nella Bibbia, una restaurazione di quest’antica ordinanza è divenuta una dottrina fondamentale della fede dei fedeli della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni.
   Oggi i membri di questa Chiesa lavorano per riunire le registrazioni genealogiche e costruiscono templi nei quali possono essere compiuti i battesimi per i morti e le relative ulteriori ordinanze.
   Il servizio per procura che viene oggi realizzato nei templi del Signore da parte dei fedeli del cristianesimo moderno, estende nuovamente a coloro che ci hanno preceduto l’amore di Dio, dando la possibilità di accesso al Suo regno ad ogni essere umano che sia mai vissuto, purché questi desideri sceglierlo.
   Il lavoro di Tempio per procura riflette al meglio la conoscenza fondamentale dei mormoni in merito al significato del potere dell’Espiazione di Gesù Cristo, che si estende indistintamente anche a ciascuno dei Suoi fratelli che non abbiano avuto la possibilità di ascoltare il messaggio del Vangelo restaurato durante la loro vita terrena. Questo piano divino non potrebbe essere diverso, essendo Dio Padre giusto e misericordioso.
   Ogni persona che ha vissuto su questa terra è singolarmente ricordata, valutata nei suoi dati anagrafici e per lei viene compiuto il lavoro necessario alla sua salvezza, così si recupera la giustizia e la misericordia dell’amore di redenzione.
   Ogni ordinanza eseguita in uno degli oltre 132 Templi della Chiesa in favore di una persona deceduta, che sta attualmente vivendo in uno stato spirituale, è un’ordinanza di sola offerta, che non forza l’accettazione dell’ordinanza stessa da parte della persona fisicamente morta. Non viene imposto alcun cambiamento di identità, eredità o credo religioso, né il nome dell’individuo viene aggiunto ai registri della Chiesa. È solo un’opportunità che gli viene offerta, e che assume il suo significato in seguito a ciò che Gesù Cristo fece durante i tre giorni in cui stette nel mondo degli spiriti, prima della Sua resurrezione.

   Tutto questo oggi è possibile grazie al profeta Joseph Smith, che il Signore ha utilizzato per la restaurazione di tutte le cose, e grazie anche al lavoro del profeta Elia che deteneva le chiavi, conferite poi a Joseph Smith, del potere di suggellamento per l’eternità di tutte le ordinanze che vengono celebrate nei templi. E’ per questo tipo di lavoro che si doveva avverare l’importante profezia di Malachia, che il mondo cristiano tradizionale per tanti secoli aveva ignorato.
   Gesù Cristo, però, non poteva dimenticare la giustizia e la misericordia, al fine di poter realizzare la felicità di ogni persona che la desidera, indipendentemente dal periodo e dal luogo in cui è vissuta durante la vita terrena.
   Per questo, dopo la sua morte terrena, durante i tre giorni in cui soggiornò nel mondo degli spiriti Gesù Cristo predicò ai giusti il Vangelo e tra loro organizzò il più grande lavoro missionario che la mente umana possa immaginare. Incaricò un gran numero di loro per andare a predicare il Vangelo anche agli spiriti dei malvagi “ritenuti in carcere”. Ciò affinché a costoro, come ai giusti, fosse possibile conoscere gli insegnamenti del Vangelo e quindi pentirsi e sciegliere di seguirli ed accettare l’ordinanza del battesimo, offerta loro per procura dai viventi, senza vincolo alcuno.
   Infatti l’Apostolo Pietro ci dice:
“Poiché per questo è stato annunciato l’Evangelo anche ai morti; onde fossero bensì giudicati secondo gli uomini quanto alla carne, ma vivessero secondo Dio quanto allo spirito.” (I° Pietro 4:6).
   Un'altra conferma di tutto ciò la troviamo nella frase:
“Altrimenti , che faranno quelli che son battezzati per i morti?” (I° Corinzi 15:29).
 
   L’attuale dispensazione, quella della pienezza dei tempi, doveva consistere di un’opera che riguardava il cielo e la terra, dato che il Signore aveva stabilito che in questo periodo Egli avrebbe radunato “in uno tutte le cose, tanto quelle che sono in cielo quanto quelle che sono in terra” ed anche tutto quello che il Padre Gli aveva dato “fuori dal mondo”. Questo “radunare in uno” richiedeva un’organizzazione, un piano, ed indicava quanto ampia e completa doveva essere questa settima dispensazione del Vangelo e perché il profeta Elia doveva essere inviato per consegnare le chiavi da lui detenute per questo grande compito.
   Quello che il Signore intendeva fare a questo proposito in quest’ultima dispensazione venne pure reso noto a Paolo:

“Col farci conoscere il mistero della sua volontà, giusta il disegno benevolo ch’Egli avea già prima in sè stesso formato, per tradurlo in atto nella pienezza dei tempi, e che consiste nel raccogliere sotto un sol capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che son nei cieli, quanto quelle che son sopra la terra” (Efesini 1:9-10).

   Questa raccolta di tutte le cose in Cristo è un’opera particolare che il profeta Joseph Smith presentò dettagliatamente alla Chiesa. Qui io riporto solo l’introduzione di tale intervento:
“Ed ora, miei cari ed amati fratelli e sorelle, lasciate che vi assicuri che questi sono principi al riguardo dei morti e dei viventi, che non possono essere trattati alla leggera, per quanto concerne la nostra salvezza. La loro salvezza infatti è necessaria ed essenziale alla nostra, come dice Paolo riguardo ai padri – ch’essi senza di noi non possono essere resi perfetti – allo stesso modo noi senza i nostri morti non possiamo essere resi perfetti. ….”

   Paolo, come ogni altro uomo, poteva benissimo vergognarsi del Vangelo di Cristo, come stava per succedere a Dante, se questo realmente condannasse alla dannazione eterna le anime di tutti quei figli del nostro Padre che sono vissuti sulla terra, senza aver mai avuto la possibilità di udire il Suo Vangelo.
   L’apostolo, invece, aveva ben compreso quanto sarebbe stata universale la predicazione del nome di Cristo quando scrisse:

“Affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre” (Filippesi 2:10-11).

   Oggi, il Vangelo che viene predicato nel mondo degli spiriti è lo stesso che i missionari della Chiesa predicano ai viventi in tutto il mondo.

   Nel corso dei secoli, molti sentirono la necessità che qualcosa fosse fatto per i morti. Nessuno, però, aveva in mente cosa fare di preciso, né l’avrebbe saputo la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni se queste informazioni non fossero state rivelate da Dio, con l’invio del profeta Elia in uno dei giorni più importanti per tutta l’umanità: il 3 aprile 1836 (vedi capitolo “La squadra”). Questo avvenne in adempimento di quanto profetizzato dal profeta Malachia. La Chiesa ha ricevuto queste informazioni non leggendo la Bibbia, ma per rivelazione, e assume la Bibbia per dimostrare che questo principio è insegnato in essa.

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Note:
(1) “The inevitabile Apostasy and the promised restoration” Tad R. Callister. Deseret Book. Salt Lake City 2006.

Questo post è stato tratto dal libro: "Innovazione... oltre il pregiudizio" di Piero Durazzani

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