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domenica 20 novembre 2011

SWELLING SHIFT: IL DILUVIO

Per una miglior comprensione di questo post si consiglia di leggere prima il post "SWELLING"

I luoghi e  gli avvenimenti



Chi era Noè?
   Noè era figlio di Lamec e decimo patriarca dopo Adamo. Egli rese testimonianza di Cristo e predicò il pentimento a una generazione malvagia. Quando il popolo respinse il suo messaggio, Dio gli comandò di costruire un’arca per ospitarvi la sua famiglia e una coppia per ogni specie di animali, in quanto la terra sarebbe stata ricoperta dalle acque per distruggere i malvagi. Ebbe tre figli: Jafet, Sem e Cam i quali, dopo il diluvio, ebbero dei figli.
   La storia di Noè mostra strette analogie con l’epoca sumero-babilonese-assira di Gilgamesch. Non solo, infatti, questa storia è simile a quella di Noè, ma possiamo individuare ben sei versioni dell’inondazione del Medio Oriente (Ziusudra, Atrahasis, Gilgamesh XI, Genesi 6-9, storia di Babilonia scritta da Berossus, ecc.) e tutte hanno frasi comuni che ci possono aiutare a capire la storia di Noè e del Diluvio.
   Noè era re della città sumerica (Iraq) di Shuruppak, faceva parte di una famiglia molto ricca di proprietari fondiari.
   Noè stesso era un facoltoso commerciante di birra, grano e animali.

Il diluvio: verità o leggenda?
   Il diluvio può essere una storia veritiera?
   Non solo nelle culture a matrice biblica, come quelle occidentali o quella islamica si parla del diluvio ma più di 500 leggende narrate da oltre 250 popoli parlano di questo evento. Molte storie, pertanto, arrivate fino a noi ci dicono che tale evento può essere veramente accaduto. Ci sono molti testi antichi che parlano del diluvio universale, dell’epoca di Gilgamesh, della distruzione di Atlantide e di tanti altri eventi. In ciascuno di questi testi si fa riferimento a grandi masse di acqua che sommergono la terra.

Il luogo del diluvio
   Nell’antichità, chi raffigurava il mondo conosciuto, lo rappresentava sulle carte come formato da una grande isola circolare, circondata dal “fiume oceano”; ciò continuò fino alla scoperta dell’America. Il noto Planisfero Babilonese, conservato al British Museum, presenta, infatti, la riproduzione della terra Mesopotamica in simile forma (fig. 10).





   Questa constatazione ci porta a porci una domanda: chi ha scritto la storia del diluvio si riferiva a tutta la terra, come noi oggi la conosciamo, oppure si riferiva alla terra così come allora l’uomo la conosceva?
   E’ da tener presente inoltre che, dopo la scoperta dell’America e dell’Australia, siamo venuti a conoscenza di specie di animali e di piante mai sino ad allora conosciute, in quanto non presenti nei vecchi continenti come l’Asia, l’Africa e l’Europa.
   Noè, evidentemente, non aveva avuto la possibilità di salvare questi animali e queste piante ma è anche interessante evidenziare che il diluvio non li aveva sterminati da quei territori originali… in quanto molto probabilmente il diluvio, in quelle zone, ha avuto uno scarso effetto per lo più causato da fattori indiretti.
   Nel valutare queste considerazioni teniamo altresì presente che, attualmente, sul pianeta terra ci sono circa 1700 specie di mammiferi, 11000 specie di uccelli, 1000 specie di rettili e 1200000 specie di insetti. Ai tempi del diluvio queste quantità erano ancora più elevate. Inoltre, gli zoologi stimano che sul nostro pianeta vi siano più di 5 milioni di specie animali ancora non identificate. Le dimensioni dell’arca sarebbero state troppo piccole per accogliere tutte queste specie di animali, senza considerare la gran quantità di personale che sarebbe stata necessaria per accudirli.

   Dio aveva lo scopo, tramite il diluvio, di porre fine ad ogni carne in quanto essa era “piena di violenza”; il Suo obiettivo era quello di fermare il degrado dell’umanità di allora. E’ pertanto plausibile che questo degrado fosse relativo all’umanità di allora “conosciuta” a quei tempi e che interagiva in quella parte del mondo allora conosciuto come “la terra” (fig. 11).





   Per fermare il dilagare della malvagità, Dio, non aveva bisogno di ricoprire “tutto” il pianeta con l’acqua; non aveva bisogno, infatti, di por fine alla vita di quegli esseri che non avevano contatto con l’umanità malvagia della terra fino ad allora conosciuta. Dio stesso, nel momento in cui salva dal diluvio Noè e la sua famiglia sembra avvallare quest’ipotesi di realtà.
   Il diluvio è stato un evento che ha prevalentemente interessato la “terra” allora universalmente conosciuta e abitata dall’umanità di quei tempi e di quei luoghi: ne consegue che è perfettamente corretto chiamarlo “diluvio Universale”.

Il luogo d’imbarco
   Il luogo d’imbarco può essere ricercato in quelle zone dove certi animali e certe semenze sono le stesse che abbiamo poi ritrovato nei territori limitrofi alla zona di sbarco; non poteva inoltre essere in terre come il continente americano in quanto, se così fosse stato, sarebbero stati stivati i tacchini, i pomodori, il cacao, le patate, il mais, i peperoni e l’ananas.
   Infatti prima del 1492, anno della scoperta dell’America non si ha notizia della presenza di questi alimenti nella zona limitrofa alla zona di sbarco, specificatamente intorno al Kurdistan iracheno estendendosi fino ai territori europei, asiatici ed africani.
   Noè non poteva certo arrivare nemmeno dal continente Australiano, perché se così fosse stato, avrebbe stivato i canguri, i koala, gli emu, gli ornitoringhi, i kookaburra, ecc. dei quali non si ha notizia fino alla scoperta dell’Australia che è avvenuta nel 1770.
   Pertanto, il luogo d’imbarco va ricercato in zone come l’Asia, o l’Africa o l’Europa.
   Come si vede, il cerchio si restringe ulteriormente.
   L’arca, ci dice il Targum, era stata costruita con legno di cedro che è un albero che si trova in un territorio dal clima caldo.
Inoltre, essa era stata calafatata con canna selvatica: il termine “ghopher” (Genesi 6:14) può derivare dal legno “gish gipar” che è una parola che può riferirsi alle canne. Le barche irachene chiamate “quffa” erano costruite in canna selvatica che cresceva soprattutto nelle zone paludose come la valle della Mesopotamia o del Nilo.
   Concludendo, la costruzione dell’Arca ed il relativo imbarco potrebbero essere avvenuti in territori come la valle del Nilo o della Mesopotamia. Se poi consideriamo che per calatafare l’arca sarebbero occorse grosse quantità di bitume e di canne, è molto probabile che in definitiva il luogo di costruzione fosse nelle zone paludose del Tigri e dell’Eufrate dove non mancava ne il bitume e nemmeno le canne.
   Esiste anche un'altra motivazione che induce ad individuare nella valle del Tigri e dell’Eufrate la zona di costruzione dell’Arca: questa zona è tutta protetta da montagne che si trovano lungo la costa dell’oceano. Il mare, inoltre, in prossimità delle coste risulta molto profondo. Questa caratteristica avrebbe protetto tutta la Mesopotamia dai primi tsunami, quelli più violenti, i quali, a causa della profondità del mare in prossimità delle coste non avrebbero potuto generare un “runup”, limitando così l’accrescimento delle onde (fig. 12).





   L’unico passaggio che avrebbero trovato i primi tsunami sarebbe stato quello attraverso lo stretto di Hormuz, dal  quale, però, sarebbe affluita una bassa e relativa quantità di acqua che avrebbe invaso in maniera relativamente tranquilla la pianura della Mesopotamia, permettendo così all’Arca di iniziare a galleggiare senza subire danni.

Le cause del diluvio
   Sono state fatte molte ipotesi sulle possibili cause che hanno determinato il “diluvio” biblico e queste possono essere raggruppate in due classificazioni:
-          Prima - forti piogge che avrebbero ricoperto tutta la faccia della terra.
Quest’ipotesi non è realistica in quanto, anche se la terra fosse stata coperta da qualche migliaio di metri di acqua provenienti da qualche cometa, dove poi sarebbe defluita per riportare all’asciutto la terra?
-          Seconda - cataclismi avrebbero fatto sprofondare interi continenti provocando, oltre alle piogge, giganteschi maremoti con effetti zsunami che avrebbero invaso tutte le altre terre emerse.
Scientificamente però, oggi non abbiamo prove di cataclismi che abbiano affossato grandi distese di territori. Infatti, se si fossero avverati fenomeni del genere essi si scontrerebbero con la teoria della deriva dei continenti. Le ricerche fatte sui fondali oceanici non evidenziano, infatti, tali fenomeni: questi sono infatti composti soprattutto di basalto, mentre invece i continenti sono caratterizzati da una netta prevalenza di rocce granitiche. Una vasta massa continentale, quindi, dovrebbe poter essere facilmente individuabile dalla sua composizione geologica ma, nonostante tutti i rilevamenti fatti, non è stata individuata alcuna zona con caratteristiche compatibili con quelle di un continente.

   Una spiegazione del diluvio, per essere plausibile, deve avere i seguenti presupposti:
1)     considerare e poter spiegare tutti i dettagli tecnici descritti nelle Sacre Scritture;
2)     basare le cause su argomentazioni scientifiche;
3)     non essere in contrapposizione con i rilevamenti geologici fatti dalla scienza;

   Pertanto, al fine, di dare una spiegazione coerente con quanto scritto nella Genesi e con le nostre attuali conoscenze scientifiche, farò riferimento a quanto citato nel capitolo ove descrivo l’effetto “swelling shift”.
   Fra tutte le ipotesi scientifiche utilizzate per spiegare il fenomeno del diluvio, io ritengo che l’effetto “swelling shift” sia l’ipotesi più convincente, in quanto permette di spiegare dettagli fino ad oggi tralasciati da chi ha utilizzato teorie che non davano assolutamente spiegazioni ad aspetti tecnici apparentemente marginali. Questi dettagli tecnici rivestono invece per un osservatore attento, una determinante importanza, in quanto sollevano interrogativi di fondamentale rilevanza scientifica, il che li rende determinanti al fine di comprendere l’accaduto.
   Un altro aspetto di cui tener conto è la strana coincidenza di avvenimenti a dir poco inconsueti, successi in quei tempi e descritti in altre civiltà.
   Uno di questi è quello che descrive alluvioni cinesi nelle quali si evidenzia il fatto che i fiumi invertirono il loro corso. Questo è reso possibile solo se l’inclinazione della superficie terrestre si inverte. Ciò è effettivamente spiegabile col l’effetto “swelling shift” in quanto tale spostamento può originare anche diversificazioni delle pendenze dei letti dei fiumi, dovute ad un nuovo e possibile livellamento della crosta terrestre.

   La terra non è una sfera perfetta, poichè è leggermente schiacciata ai poli, il che la rende simile ad un giroscopio che ruota attorno ad un asse fisso. Tuttavia, poiché il diametro della terra ai poli è di solo 44 chilometri minore rispetto all’equatore, la differenza è piccola e il giroscopio è instabile. La caduta di un asteroide può modificare l’asse di rotazione con un movimento a cono dell’asse stesso (movimento precessorio).
   Se la terra fosse rigida, il movimento precessorio tenderebbe a riportare l’asse nella sua posizione iniziale, ma ciò non avviene perché la terra è costituita esternamente da una sottile crosta rigida (30 chilometri è quella sotto i continenti è di circa 7 – 10 chilometri quella negli oceani) e da una massa calda e fluida all’interno. Considerando la sua struttura quindi, dopo un’eventuale caduta di un asteroide, il giroscopio terra si modificherebbe notevolmente e l’asse di rotazione cambierebbe di posizione e tenderebbe a mantenere il nuovo assetto.
   A caua dell’effetto “swelling shift” si sposterebbero grandi masse di acqua relative allo spostamento del rigonfiamento equatoriale, con forti fluttuazioni del livello degli oceani e con allagamenti di grandi superfici continentali. Si avrebbero inoltre cambiamenti climatici permanenti, a causa del cambio di latitudine dei continenti e della nuova inclinazione a cui sarebbe soggetta l’asse di rotazione della terra.

   Come conseguenza di questo spostamento dell’asse terrestre, si avrebbe subito la rottura in più punti della crosta terrestre. Il magma bollente tenderebbe a uscire dalle fessure della sottilissima crosta, in particolare di quella sotto gli oceani e in prossimità delle dorsali oceaniche, dove le Rift Valleys sono più presenti, in quanto più sottile, provocando eruzioni sottomarine e terremoti. Queste eruzioni e i conseguenti terremoti genererebbero molti tsunami, con enormi onde in grado di spazzare le terre emerse per poi ritornare gradualmente nei mari.

   Lo spostamento dell’asse di rotazione cambierebbe la meteorologia che sarebbe immediatamente stravolta e si potrebbero verificare interi mesi di piogge a seguito del mutato spessore della troposfera.

   Anche le terre emerse, con un movimento molto più lento di quello dell’acqua, tenderebbero a subire delle verticali variazioni di posizione per effetto dell’inerzia di queste masse, creando in certe zone accumuli rocciosi e in altre l’assottigliamento della crosta terrestre dando origine, in questi punti, a fratture dovute al generarsi di nuovi Rift Valley o incrementando quelle esistenti che sono all’origine della divisione delle placche continentali.

   In che cosa consistono le conseguenze del diluvio che le Sacre Scritture ci evidenziano al fine di valutare l’attendibilità di questo ipotetico cataclisma?

Anno embolismale
   Un’attenta interpretazione della tempistica dell’evento ci aiuta a comprendere, oltre alle cause, anche le relative conseguenze.
   La tempistica che si trova descritta nella Genesi si rifà al calendario Giudaico che era luni-solare come il calendario babilonese, e prevedeva 354 giorni per l’anno lunare e 364 giorni per l’anno solare. Il sincronismo fra le due misure poteva essere raggiunto ogni tre anni, aggiungendo un mese chiamato “II Adar”, di trenta giorni alla fine dell’anno lunare (354 + 30 = 384) detto anno embolismale. Tuttavia, anche con l’aggiunta di 30 giorni, restava comunque un errore di circa un giorno per ogni anno. L’anno solare, infatti, è di 365 giorni, e in tre anni si avrebbero un totale di 1095 giorni. Se prendiamo 3 anni lunari, invece, e cioè 354 x 3 e aggiungiamo i 30 giorni del tredicesimo mese dell’anno embolismale otteniamo 1092 giorni. Mancano all’appello tre giorni. Rimaneva da risolvere, pertanto, la completa riconciliazione con l’anno solare. Per fare questo, dopo un certo numero di anni che variavano di volta in volta, venivano aggiunti degli ulteriori giorni.
   Pertanto, l’anno dell’inizio del diluvio era composto da mesi alternativamente di 29 o di 30 giorni così denominati: 1 Nisan, 2 Iyar, 3 Sivan, 4 Tammuz, 5 Ab, 6 Elul, 7 Tishri, 8 Marchesvan, 9 Kislev, 10 Tebet, 11 Shebat e 12 Adar ai quali venivano aggiunti i 30 giorni del mese embolismale, denominato II Adar, più i 7 giorni di riconciliazione.
   Da quanto si deduce analizzando la tempistica del diluvio, i periodi indicati nei singoli passi scritturali si sposano con l’anno embolismale, al quale vanno aggiunti i 3 giorni di riconciliazione del calendario.

Tempistica del diluvio
   Qui di seguito ho ricostruito la tempistica nella quale l’anno della data si riferisce all’età di Noè.

DATA        PERIODO    EVENTO

17-2-600      150gg.      Inizio del diluvio. Tutte le fonti del   
                                    grande abisso scoppiarono e le
                                    cateratte del cielo s’aprirono  
                                    (Genesi 7:11).
                                    E piovve sulla terra per quaranta 
                                    giorni e quaranta notti
                                    (Genesi 7:12).
                                     E le acque crebbero e sollevarono  
                                     l’arca
                                     (Genesi 7:17).
                                     Acqua che sale sulla terra  
                                     (Genesi 7:19).
                                     E le acque rimasero alte sopra la  
                                     terra per centocinquanta giorni
                                     (Genesi 7:24).                                    
17-7-600                                           L’Arca si arena sul monte RRT  
                                     (Genesi 8:4).

                    150gg.       Acqua che diminuisce a seguito
                                     del cessare dell’effetto Inertia’s      
                                     Swelling Shift
                                     (Genesi 8:3).
1-10-600                                         Le acque andarono scemando 
                                     fino al decimo mese, il primo
                                     giorno del mese, apparvero le
          vette dei monti (Genesi 8:5).

17-12-600     40gg.       Giorni di attesa
30-12-600                    Fine anno lunare (il 308° giorno  
                                     dall’inizio del diluvio).          
                                     Noè aprì la finestra e mandò fuori 
                                     il corvo e poi la colomba ma essi  
                                     tornarono indietro perché c’era
                                     ancora acqua sulla terra
                                     (Genesi 8:7-8).

30-IIAdar-600              Fine anno embolismale (il 338°  
                                    giorno dall’inizio del diluvio).

                       7gg.       Giorni di attesa (Genesi 8:10).
                                     Noè manda nuovamente fuori la  
                                     colomba ed essa ritorna con una  
                                     foglia di olivo (Genesi 8:11), (347°  
                                     giorno dall’inizio del diluvio).

                        7gg.       Giorni di attesa (Genesi 8:12).
                                     Noè rimanda fuori la colomba ma
                                     essa non ritorna più
                                     (Genesi 8:12).

                                     Possibile aggiunta di almeno 16  
                                     giorni di conciliazione con il  
                                     calendario solare (354° giorno  
                                     dall’inizio del diluvio).

1-1-601                                     Noè scoperchiò l’Arca e vide che 
                                      la superficie del suolo era  
                                      asciutta (Genesi 8:13).

27-2-601                                La terra era asciutta
                                      (Genesi 8:14).
                                      Noè riceve l’ordine di uscire  
                                      dall’Arca (Genesi 8:15-16).

TOTALE giorni: 410 dall’inizio del diluvio.

Analisi del diluvio
   Alcuni calcoli eseguiti da Flavio Barbiero, esperto di giroscopi di pilotaggio dei siluri per la Nato, hanno messo in evidenza che un asteroide di 500 metri di diametro sposterebbe l’asse terrestre di circa 15 – 20 gradi (1).
   Siccome ipotizziamo che il tutto sia originato dalla caduta di un asteroide, dobbiamo subito evidenziare che tale ipotesi è molto realistica. Ogni anno cadono infatti sulla terra circa 12000 corpi celesti del diametro massimo di circa un metro, ma attorno alla terra ruotano migliaia di asteroidi con un’orbita instabile, alcuni dei quali hanno un diametro di circa 2000 metri. È una verità acquisita il fatto che la terra, in passato, sia stata colpita da numerosi asteroidi: centinaia di crateri lo dimostrano.
   È altresì da precisare, inoltre, che il diluvio aveva lo scopo di far annegare tutta l’umanità di allora. È d’uopo considerare che le popolazioni non dimoravano certo sulle vette fredde dell’Himalaia e nemmeno sulle inospitali montagne alte più di 4000 metri, bensì nelle regioni molto più basse e calde. Pertanto, tale “diluvio” non aveva necessità di risalire le alte montagne, come le cime Himalaiane.

   Al fine di esaminare, partendo da questa causa primaria, gli effetti che il diluvio determinò, ho qui di seguito elencato dieci punti biblici significativi, alcuni dei quali apparentemente strani, al fine di analizzare la veridicità dell’ipotesi “swelling shift”. 

1)     Noè costruì l’arca con una finestra in alto?
2)     Piovve ininterrottamente per molte settimane.
3)     Le acque salirono su dagli abissi del mare per ricoprire tutta la terra.
4)     L’arca di Noè, molto grande e costruita in legno, non subì danni dal crescere delle acque sulla terra.
5)     Le acque si ritirarono negli abissi del mare.
6)     L’arca di Noè si arenò prima del ritiro delle acque.
7)     Gli abitanti dell’arca, che era arenata, attesero ben altri 72 giorni prima di cominciare a vedere le vette dei monti.
8)     La colomba riportò una foglia di ulivo dopo ben 127 giorni da quando Noè aveva avvistato le vette dei monti.
9)     Gli abitanti dell’arca sbarcarono dopo altri 63 giorni dal ritorno della colomba con la foglia di ulivo e precisamente quando la terra si rese asciutta.
10) La terra si divise (Peleg).  

   Ora andremo ad approfondire ognuno di questi dieci punti.

La “finestra” dell’arca
Punto 1 dell’analisi: Noè costrui l’arca con una finestra in alto?
   Certamente Noè costruì la sua arca sulla terra ferma e molto probabilmente in una zona dalla quale non avrebbe avuto possibilità di essere trascinata al largo dell’oceano dai primi zsunami. Questo è un’aspetto molto importante, in quanto l’arca era molto lunga e non avrebbe retto ad onde molto alte. Inoltre l’arca non aveva in alto una finestra, come viene tradotto nella Bibbia: la parola originale del libro della Genesi si riferisce di più ad un tetto o a una copertura.

40 giorni di pioggia
Punto 2 dell’analisi: Piovve ininterrottamente per molte settimane.
   Questo impatto dell’asteroide che spostò l’asse di rotazione della terra influì sull’effetto Coriolis. Il percorso naturale dell’effetto Coriolis, a causa dello spostamento dell’asse di rotazione della terra, subì una traslazione, in parte allontanando ed in parte avvicinando masse d’aria rispetto ai poli. Questo movimento provocò un momentaneo spostamento di aria fredda dai poli e un conseguente spostamento dell’aria calda dall’equatore originale. Si generò così uno Swelling Shift della troposfera con un aumento iniziale dello spessore di quest’ultima, che produsse un accumulo di una  gran quantità di vapore acqueo. Lo spostamento e l’accumulo di masse d’aria calda nella zona del diluvio furono determinanti per avere un lungo e persistente periodo di piogge. Lo spessore della troposfera, infatti, aumentando notevolmente (vedi capitolo “La troposfera e l’effetto Swelling”) richiamò aria calda dall’oceano e salì gradualmente sopra a quella fredda delle zone più a Nord e continentali, creando aree di bassa pressione, all’interno delle quali il fronte freddo si sposta. In queste condizioni l’aria calda, nel salire creò nubi e piogge, il fronte freddo più veloce raggiunse quello caldo e col diminuire della pressione le precipitazioni aumentarono (fig. 13).





   Queste piogge durarono quaranta giorni e quaranta notti e sollevarono l’arca.
   È difficile stabilire quanta acqua cadde in quaranta giorni e quaranta notti, possiamo solo fare una semplice ipotesi: se prendiamo il valore della precipitazione più alta avvenuta in 24 ore sino ad ora conosciuta dall’uomo e cioè quella del 15 marzo del 1952 a Chialos, La Reuinion, Oceano Indiano, che fu di 1870 mm e la moltiplichiamo per 40 si ottiene una precipitazione di ben 75 metri. Questo valore lo possiamo maggiorare in quanto lo spessore della troposfera, nella zona dell’Arca e a causa dell’effetto Swelling Shift, subisce una crescita di circa 6250 metri, cioè aumenta della metà del valore iniziale. Di conseguenza si può ipotizzare una crescita similare della quantità di umidità presente nella troposfera in quel momento. L’ipotesi, pertanto, del valore della precipitazione può passare da 75 metri a 112 metri. Questo valore non considera l’acqua che scende dalle montagne ad una zona collocata a valle delle stesse, come poteva essere la zona dove fu costruita l’arca, pertanto l’altezza delle acque poteva essere anche molto maggiore di 112 metri, ma solo questa pioggia ed il relativo deflusso dalle montagne certamente non poteva annegare tutta l’umanità di allora.

Risalita delle acque
Punto 3 dell’analisi: Le acque salirono su dagli abissi del mare per ricoprire tutta la terra.   
La Bibbia ad un certo punto dice che le fonti degli abissi furono chiuse (Genesi 8:2) e pertanto da qui si può dedurre che gran parte delle acque provenivano dagli abissi, cioè dagli oceani.
   Questo fatto si può spiegare con l’effetto “swelling shift” che, nella zona della terra allora conosciuta, fece alzare le acque di diverse migliaia di metri, sollevando ulteriormente l’arca al di sopra delle montagne locali.
   Per coprire un altezza di circa 3190 mt, zona di arenaggio dell’Arca (vedi capitoli successivi), con l’effetto “swelling shift” sarebbe stato sufficiente uno spostamento dell’asse di rotazione della terra rispetto ad essa di circa 7°. Con uno spostamento di 7° dell’asse di rotazione terrestre, si hanno le seguenti variazioni dei livelli massimi raggiunti durante la prima parte di crescita del diluvio:

Parallelo 7° Sud  (vecchio equatore) -332 metri
Parallelo 0° (nuovo equatore) +332
Parallelo 3° +698
Parallelo 13° +1662
Parallelo 23° +2694
Parallelo 33° +3326
Parallelo 35°  (latitudine di arenaggio dell’Arca) +3192
Parallelo 43° + 2578
Parallelo 53° +1830
Parallelo 63° +1164
Parallelo 73° +698
Parallelo 83°  (vecchio polo)  +166
Parallelo 90°  (nuovo polo) -166

   Ma, attenzione, per raggiungere i livelli di acqua sopra citati, via via che ci allontaniamo dalla zona dell’equatore, sarebbe stato in effetti necessario uno spostamento dell’asse terrestre inferiore ai 7 gradi. L’inerzia (Inertia’s Swelling Shift), infatti, acquisita dallo spostamento di queste grosse masse di acqua avrebbe, momentaneamente, innalzato il livello delle acque per poi in parte ritirarsi. Pertanto, per ottenere alla latitudine di 35 gradi, un livello momentaneo di 3192 metri, sarebbe forse bastato un reale spostamento di circa 5 gradi dell’asse di rotazione terrestre. Questo massimo innalzamento delle acque, dovuto all’inerzia, è anche da considerare il momento in cui avviene l’arenaggio dell’arca.
   Oltre all’effetto “swelling shift”, si ebbero anche molti zsunami, che furono la conseguenza degli enormi maremoti che avvennero a seguito dell’impatto dell’asteroide che, spostando l’asse di rotazione con la conseguente deformazione della terra per l’effetto dello “swelling shift”, attivò indirettamente una forte attività eruttiva sulle dorsali oceaniche. Questi zsunami furono giganteschi e si abbatterono sui continenti.

L’arca fu protetta
Punto 4 dell’analisi: L’arca di Noè, molto grande e costruita in legno, non subì danni dal crescere delle acque sulla terra.
L’arca di Noè non subì danni, in quanto fu costruita nel bacino Mesopotamico che, come ho precedentemente descritto, era protetto dai primi zsunani grazie alle montagne che lo circondano e grazie, anche, al fatto che questo bacino era molto lontano dal mare. L’Arca fu all’inizio alzata dalle piogge che formarono un forte allagamento. Quando cominciarono ad arrivare le onde degli zsunami, a causa dell’innalzamento dell’oceano, l’arca che già galleggiava sull’acqua fu ulteriormente sollevata, limitando l’infrangesi rovinoso degli zsunami stessi. L’innalzamento del livello delle acque dovuto all’effetto “swelling shift” molto probabilmente non si è manifestato con onde che si infrangono contro una nave, ma come un rigonfiamento delle acque con l’oceano che cresce dal di sotto senza particolarmente evidenziarsi visivamente in superficie.

Ritiro delle acque
Punto 5 dell’analisi: Le acque si ritirarono negli abissi del mare.
   Dopo 150 giorni le acque cominciarono a ritirarsi negli oceani (abissi) e, come dice la Bibbia, da quel momento cominciarono a scemare (Genesi 8:3). Il magma dell’astenosfera è molto probabile che localmente facesse innalzare la placca continentale, influendo sulla diminuzione dell’altezza relativa fra il livello delle acque e la terra. Il motivo principale del ritiro parziale delle acque fu senz’altro dovuto all’annullarsi dell’effetto derivante dall’inerzia generata dallo “swelling shift”. Quest’effetto “swelling shift”, in realtà raggiunse differenti altezze del livello dell’acqua: una iniziale dovuta all’effetto dell’inerzia (vedi capitolo “Inertia’s swelling shift”) di questa grande corrente marina che si spostava come uno zsunami gigantesco ed un livello finale dell’acqua, allo stabilizzarsi dello “swelling shift”. Particolare importanza assume il ruolo dell’inerzia ondeggiante dello “swelling shift”, che richiese molti giorni, ma alla fine si annullò completamente e rese stabile il livello delle acque rispetto al centro della terra. Questo livello, però, continuò a diminuire, relativamente rispetto alla superficie della terra, che per effetto della nuova direzione della forza centrifuga, derivante dal nuovo asse di rotazione del pianeta, la crosta terrestre sottostante si inalzava lentamente facendo ritirare le acque nell’abisso come detto nelle Sacre Scritture.

Arenaggio dell’arca
Punto 6 dell’analisi: L’arca di Noè si arenò prima del ritiro delle acque.
   Ancor prima dell’inizio del calo del livello dell’acqua (vedi “Tempistica del diluvio”) l’arca si arenò. La scrittura originale, infatti,  dice che l’arca si fermò sul monte RRT il diciassettesimo giorno del settimo mese cioè a 148 giorni dall’inizio del diluvio. Il successivo deflusso dell’acqua fu molto lento. Questa lentezza è una prova che il tutto derivava dall’effetto dello “swelling shift”, in quanto l’abbassamento delle acque era la conseguenza, in parte, dell’innalzamento della terra sottostante che non poteva che essere lento a causa delle grandi forze resistenti della crosta terrestre.
   L’arca, però, non si arenò sul monte Ararat, come sostengono invece alcuni traduttori. La scrittura originale menziona il termine RRT e alcuni hanno completato questo nome inserendo la consonante A. Gli antichi non avevano mai pensato all’Ararat in quanto il nome RRT indicava l’antico e potente stato di URARTU. Sembra chiaro che il monte, sulla base del racconto del diluvio contenuto nel più completo testo mesopotamico e delle indicazioni suggerite da una spedizione del re Assurnasirpal, sia identificabile con l’attuale Pira Magrun. L’assirologo italiano Claudio Saporetti dell’Università di Pisa è riuscito a consultare dei vecchi libri di Assiriologia scritti non molto dopo la decifrazione di migliaia di tavolette cuneiformi. Alcuni autori di questi libri identificano il monte dove si è arenata l’arca nella montagna di Pira Magrun che sta a nord della citta di Sulayamaniya verso il confine dell’attuale Iran.
   Saporetti, riprendendo questa teoria, con l’aiuto di mappe moderne, con l’utilizzazione del satellite e soprattutto con un’accurata analisi dell’impresa di un re assiro che passò da quel monte, ha confermato questa ipotesi. Il monte Pira Magrun, pertanto, è il luogo dove si è arenata l’arca di Noè. Questo monte è alto 3183 metri e si trova nel Kurdistan iracheno.
   Ararat era una montagna troppo lontana (Turchia orientale) per essere citata dai testi assiri.
   Sempre Claudio Saporetti fa rilevare che Marco Polo (2) accogliendo leggende locali ancora vive al suo tempo scrisse che l’Arca di Noè si sarebbe arenata “presso il reame che si chiama Mossul” nell’Iraq settentrionale pertanto nel territorio del vecchio stato di Urartu!
   Il termine biblico “RRT” sarebbe diventato, negli anni dopo Cristo, Ararat e non il più probabile regno di Urartu (3). Un regno antico e potentissimo, che combatte a lungo contro gli assiri.
Un'altra prova che RRT non vuol dire Ararat deriva dalla scrittura che si trova in 2 Re 19:37 dove si legge:
“E avvenne che, mentr’egli stava adorando nella casa del suo dio Nisroc, i suoi figliuoli Adrammelec e Saretser lo uccisero a colpi di spada, e si rifugiarono nel paese di Ararat (originariamente RRT). …..”
Il re d’Assiria Sennacherib fù ucciso a Ninive (attuale Mossul) e pertanto è molto più ovvio pensare che essi si fossero rifugiati, chiedendo asilo ad uno stato nemico dell’Assiria, in un altro regno vicino come Urartu, anziché su di un lontano vulcano qual’è il monte Ararat che dista circa 500 km a nord di Ninive.
Da tener presente che la carta storico-geografica dell’Asia Anteriore fu ampiamente ampliata con nomi di persone e di luoghi, fiumi, città, montagne e regioni grazie alla grande quantità di iscrizioni che il palazzo di Sargon II conteneva. Infatti è dal 1843 che iniziò la decifrazione della scrittura cuneiforme insieme alla interpretazione della lingua assira. La forma “Ararat” dipende dalla vocalizzazione che ebbe luogo nell’alto Medioevo con la fissazione del testo ebraico della Bibbia, una vocalizzazione convenzionale della grafia consonantica (rrt) della tradizione antica. Si tratta evidentemente di una deformazione del nome Urartu della tradizione cuneiforme assira, dovuta al fatto che nel corso dei secoli gli scribi avevano perso memoria di quell’antico paese e stato rivale dell’Assiria.
Nella versione latina della Vulgata, dove si legge “super montes Armeniae” e l’Armenia  è precisamente la regione e lo stato che in epoca romana occupa il territorio che dal IX al VII secolo a.C. era stato dominato dal regno di Urartu.

La “risalita” delle montagne
Punto 7 dell’analisi: Gli abitanti dell’arca, che era arenata, attesero ben altri 72 giorni prima di cominciare a vedere le vette dei monti.
   La massima altezza del Pira Magrun è oggi di 3183 metri. Genesi 7:20 ci dice che le acque salirono quindici cubiti al di sopra delle vette dei monti. Nell’antica Israele un cubito era circa 45,7 cm. Pertanto l’acqua ricoprì la montagna di circa soli 6,8 metri. Come è possibile che i sopravvissuti al diluvio abbiano potuto determinare con tanta precisione di quanto sia salito il livello dell’acqua rispetto alle vette dei monti? Si può dare solo una spiegazione attendibile: quest’altezza è un valore definito indirettamente dal valore di pescaggio dell’arca, che poteva essere benissimo di 6,8 mt e, siccome l’arca si è arenata prima che iniziasse il deflusso, questo pescaggio definisce l’altezza dell’acqua rispetto al monte dove si è avuto l’arenaggio. Il livello delle acque, pertanto, arrivò fino a 3190 metri rispetto al livello del mare (esattamente 3183 + 6,8 = 3189,8).
   L’avvistamento delle altre montagne che gli abitanti dell’arca avrebbero visto, forse a una distanza max di circa cento km, avvenne dopo ben 72 giorni dal loro arenaggio. Questo vuol dire che la crosta terrestre, oltre a risalire lentamente, presentava come montagna più alta in quella zona il Pira Magrun.
   La risalita delle montagne che vide Noè fa parte dell’effetto di risalita della litosfera (crosta terrestre) a causa dell’effetto Swelling Shift del macma dell’astenosfera, risalita che è massima nella zona del nuovo equatore e sempre più decrescente via via che ci si avvicina al nuovo polo.
   La fluidità del macma essendo decisamente minore di quella dell’acqua, ma sufficiente a creare uno spostamento verticale della litosfera, ha generato un lento andamento rispetto alla velocità con cui è avvenuto lo Swelling Shift degli oceani.
   Comunque la sufficiente fluidità del macma per generare questo effetto si può desumere dal fatto che questa roccia fluida ha un movimento continuo di termoconvenzione (fig. 14) causato dal fatto che la temperatura nella parte inferiore dell’astenosfera è molto più alta di quella adiacente alla litosfera. 






Questo movimento continuo della termoconvenzione durante lo Swelling Shift è pensabile che sia stato da quest’ultimo influenzato in modo tale da generare anche un movimento traslatorio verso la zona del nuovo equatore influenzando la posizione verticale della crosta terrestre: si è avuto una spinta verso l’alto nelle zone relative all’inalzamento delle acque e verso il basso nelle zone dove il livello delle acque si era invece abbassato.
   L’andamento pertanto dello spostamento verticale della litosfera ha richiesto tempi molto più lunghi rispetto a quelli dello spostamento verticale dell’acqua.
   È ragionevole pensare che il riemergere delle montagne, constatato da Noè, sia stato relativamente più veloce all’inizio per poi sempre più rallentare via via che la litosfera risaliva (vedi ipotesi concettuale esplicitata nella fig. 15).




Gli olivi
Punto 8 dell’analisi: La colomba riportò una foglia di olivo dopo ben 127 giorni da quando Noè aveva avvistato le vette dei monti.
   Gli olivi crescono sulle colline e non sulle alte vette dei monti.  Hanno bisogno di un clima mite senza forti sbalzi termici e temperature che non scendano al di sotto dei -5° C. in quanto a -7° C. gelano. La massima altezza dove si può coltivare è circa 800 m.s.l.m.
La colomba liberata da Noè, pertanto, si posò su alberi che erano cresciuti in zone relativamente poco elevate ed essendo l’Arca arenata su un terreno non ancora asciutto, ciò sta a dimostrare che l’arca si era posata su una montagna non molto alta e che non poteva essere l’Ararat (5165 m.) ma è più ragionevole pensare si trattasse del monte Pira Magrun (3183 m.). Se noi andiamo a confrontare il tipo di vegetazione che c’è intorno a queste due montagne ci rendiamo conto che, il clima mediterraneo adatto per la coltivazione degli olivi, lo troviamo solo ai piedi e sulle pendici della zona del Pira Magrun dove esiste un clima mediterraneo pur essendo, quella zona, circondata da un clima semiarido. Teniamo altresì presente che le zone originarie dell’olivo europeo sono proprio queste sacche dell’Urartu unitamente a quelle del Pamir e del Turkestan che presentano in certe zone un clima mediterraneo. Nella zona intorno al monte Ararat esiste invece un clima semi-arido con inverno freddo e secco e estate calda cioè clima buono solo per steppa, arbusti, acace, ecc. In questo ambiente la colomba non poteva certamente trovare un ramoscello d’olivo.

La terra divenne asciutta
Punto 9 dell’analisi: Gli abitanti dell’arca sbarcarono dopo altri 63 giorni dal ritorno della colomba con la foglia di ulivo e precisamente quando la terra si rese asciutta. 
   Quanto affermato al punto sette diventa ancora più realistico se pensiamo che Noè, prima di sbarcare, attese altri 63 giorni affinché la terra fosse asciutta; non poteva certamente sbarcare in mezzo alla melma!

La divisione della terra
Punto 10 dell’analisi: La terra si divise (Peleg).  
   La divisione della terra ai tempi di Peleg fu probabilmente la conseguenza dello Swelling Shift, ma la scrittura non ci dice dove si evidenziò questa divisione. È interessante considerare, però, che le Sacre Scritture, in merito alla seconda venuta di Gesù Cristo, profetizzano che la terra a quel tempo sarà unita come lo era prima del diluvio universale. Allora ciò significa che tale unione si verificherà fra “le isole del mare” (America, Groenlandia, Islanda, Irlanda ed Inghilterra) cioè, in sostanza, fra il continente americano e il super continentiEuropa-Asia-Africa.                                                                          
   Per dare una spiegazione a questa previsione, molti sostengono che i continenti torneranno ad unirsi in una sola terra come erano tanti milioni di anni fa. Questo è un controsenso scientifico, in quanto i continenti continuano ad allontanarsi fra loro con un movimento molto lento, di 2 cm all’anno e pertanto non si comprende come potrebbero cambiare questa inversione di espansione e riunirsi in tempi relativamente brevi dal momento che la seconda venuta di Gesù Cristo è prossima. Una tale affermazione è anche un voler forzare le Sacre Scritture in quanto in esse si sostiene che “una strada sarà elevata in mezzo al grande abisso”, cioè una lingua di terra fra l’America e l’Europa e non un riavvicinamento dei continenti.                                                                       
   Pertanto se la terra, alla seconda venuta di Gesù Cristo, tornerà ad essere come era prima del diluvio, la divisone di essa ai tempi di Peleg di cui si parla nella Genesi non può che riferirsi alla divisone fra l’Inghilterra e il resto dell’Europa. E’ da tener presente che il territorio dell’Inghilterra, prima della divisione generata dal canale della Manica, doveva essere molto più vasto dell’attuale, in quanto l’effetto Swelling Shift, se lo consideriamo solo su uno spostamento equatoriale di 7°, in questa zona poteva arrivare a un livello superiore ai 1800 metri rispetto al livello del mare prima del diluvio. La piattaforma che sorregge l’Inghilterra e l’Irlanda parte dal mare del Nord, vicino alla Norvegia, e arriva fino al Golfo di Biscaglia a Nord della Spagna e basterebbe un abbassamento di poche centinaia di metri delle acque del mare per portarla all’asciutto. A prova di questa ipotesi, esiste una leggenda della Cornovaglia, penisola a sud dell’Inghilterra, che racconta di una terra perduta oltre ed attorno alle isole Scilly, al largo del Capo Cornovaglia, chiamata dai poeti Lyonesse. Questa leggenda parla di un diluvio che sommerse questi luoghi.                                                                            
   Anche questa piattaforma su cui poggiano l’Inghilterra e l’Irlanda, molto probabilmente prima del diluvio era unita oltre che all’Europa anche alle altre “isole del mare” e cioè all’Islanda, alla Groellandia e all’America. Quest’ulteriore estensione territoriale precedente al diluvio, però, non risulta fosse conosciuta da coloro che sono sopravvissuti a questo cataclisma e né alla loro posterità fino a Peleg. La profezia del completo ricollegamento fra l’Europa e l’America è stata data dal Signore al profeta Joseph Smith solo nel 1831. Non poteva infatti essere data prima delle traversate oceaniche dei Giarediti, dei Nefiti, dei Mulekiti e di Cristoforo Colombo, in quanto il continente americano doveva rimanere nascosto al resto del mondo fino alla sua scoperta avvenuta nel 1492. A quell’epoca, infatti, i tempi stavano per diventare maturi per aprire la VII° ed ultima dispensazione per la nuova predicazione del Vangelo eterno profetizzata da Giovanni nell’Apocalisse.                                                         
   Il lettore troverà un dettagliato approfondimento di come era la terra prima del diluvio leggendo il capitolo “Swelling Shift Back”.

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Note:
(1) Informazioni desunte dai siti www.ulisse.sissa.it e www.giornaledibrescia.it
(2) Informazioni desunte dal sito www.agi.it 
(3) Informazioni desunte dalla rivista fiorentina “Archeologia Viva”.


Post desunto dal libro: "il geo-cristianesimo" di Piero Durazzani

2 commenti:

Bal ha detto...

Molto interessante davvero. Finora la teoria più credibile sul diluvio l'avevo trovata nella tradizione ebraica, che riferisce di meteoriti(forse due)come una delle cause scatenanti. Le differenze con il SWELLING SHIFT riguardano i vulcani sottomarini(le fonti del grande abisso)che secondo lei non hanno testimonianza geologica nell'evento, e una sorta di "dome", una atmosfra di acqua e ghiaccio che colpita dai meteoriti si sarebbe sciolta.
Mi incuriosisce poi la tesi di un diluvio locale e non universale. Mi faccio pertanto due domande: 1)La famiglia di Adamo si spostò prima del diluvio? Però di questo proprio non c'è cenno nelle Scritture. 2)Se l'arca si trovava in Mesopotamia, non è piuttosto limitato il tragitto che ha percorso fino in Iran in un periodo lungo un anno e più?

Grazie.

pierorbitalunga ha detto...

1) La famiglia di Adamo si moltiplicò e si disperse sulla faccia della terra. La rivelazione moderna che i mormoni possiedono conferma questa ipotesi.
2) La rotta dell'Arca non la conosciamo ma possiamo ipotizzare con una certa attendibilità solo il punto di partenza e quello di arenaggio. Questo non vuol dire che il tragitto sia stato breve in quanto lo spostamento delle acque, prima in risalita e poi in decrescendo, e cioè un movimento altalenante del livello del mare e pertanto delle relative correnti, possano benissimo aver contribuito ad allungare notevolmente la navigazione pur riscontrando alla fine una distanza contenuta fra il punto di partenza e quello di arrivo.