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venerdì 1 giugno 2012

2200 a.C.: I SOMMERGIBILI DEI GIAREDITI



I luoghi e gli avvenimenti


Il libro di Ether
   Questo libro, contenuto nel Libro di Mormon, è senza eguali e certamente incuriosisce grandemente tutti coloro che amano la nautica. In esso troviamo tanto la descrizione dei primi sommergibili costruiti dall’uomo (popolo dei Giarediti), quanto i percorsi terrestri e quelli via mare, incredibili per la loro lunghezza, le loro mete ed i pericoli. Vi si trova la descrizione di una traversata oceanica che abbondò di ogni inimmaginabile pericolo, incluse tempeste, scogli ed uragani.
   La prima traversata oceanica di cui abbiamo un resoconto, infatti, avvenne circa quaranta secoli or sono, a mezzo di natanti originali e innovativi, senza vele, senza motori, senza remi e senza timoni. Erano otto barche quasi contemporanee all’Arca di Noè, lunghe quanto un albero, impermeabili e appuntite come una salsiera, chiuse sopra e sotto, e illuminate da pietre fuse di una sostanza allora sconosciuta. Leggere come uccelli sulle acque, queste barche furono sospinte dai venti e dalle correnti oceaniche per prendere terra, tutte quante, in un punto della costa occidentale Americana.

Chi erano i Giarediti?
   Questo popolo appartenne ad una civiltà descritta nel Libro di Mormon (tradotto nel 1829 da Joseph Smith); esso proveniva dalla Torre di Babele all’epoca in cui il Signore confuse le lingue, eccetto quella dei Giarediti. Il Signore promise loro altresì di condurli ad una terra scelta e di fare di loro una grande nazione che doveva o servire Cristo o essere spazzata via. Nel “libro di Ether”, infatti,  si afferma che Giared e suo fratello chiesero al Signore che la loro lingua non fosse cambiata. La loro richiesta fu esaudita ed essi poterono conservare e portare con sè la lingua dei loro padri, la lingua adamitica, che era molto possente anche nella sua forma scritta: per questo motivo le cose scritte dal fratello di Giared <erano talmente possenti da sopraffare l’uomo che volesse leggerle>. Secondo un presidente della Chiesa, Joseph Fielding Smith, tale era la lingua usata da Adamo, e tale era la lingua grazie alla quale Enoc poté compiere la sua possente opera.
   Moroni ci precisa inoltre che i Giarediti erano un popolo industrioso, che lavorava ogni sorta di metallo, e raffinava oro, argento, ferro e bronzo.
   Essi fabbricavano pure diverse quantità di arnesi per coltivare la terra, arare, seminare, zappare, mietere e trebbiare, nonché armi belliche di ogni genere. Da ciò è facile dedurre che i Giarediti erano un popolo che certamente aveva gli utensili adatti per costruire grandi imbarcazioni, innovative per quei tempi.

Chi era il fratello di Giared?
   Il fratello di Giared, avendo una conoscenza di Gesù Cristo basata sulla sua grande fede, vide per prima cosa il dito del Signore. Egli quindi non aveva più bisogno della fede perché egli ora aveva acquisito una conoscenza diretta, senza nulla dubitare, e pertanto gli fu concesso di vedere tutto il corpo in spirito del Signore. Infatti il Libro di Mormon ci chiarisce che una persona che abbia una conoscenza perfetta non può essere trattenuto dall’oltrepassare il velo, gli è cioè concesso di vedere cose che l’uomo normale non può assolutamente vedere.
   Il nome proprio del fratello di Giared non viene indicato nelle Scritture. Tuttavia ci è stato tramandato un episodio da cui si ricava che questo nome fu rivelato al profeta Joseph Smith:
“Quando risiedeva a Kirtland, l’anziano Reynolds Cahoon ebbe un figlio. Un giorno invitò il presidente Joseph Smith, che passava davanti alla sua porta, ad entrare in casa sua per benedire e imporre il nome al bambino. Joseph acconsentì e impose al bambino il nome di Mahonri Moriancumer. Quando ebbe finito di impartire la benedizione rimise il bambino sul letto e, voltatosi verso l’anziano Cahoon, disse: Il nome che ho imposto a tuo figlio è il nome del fratello di Giared; il Signore me lo ha appena mostrato (rivelato).”

I passeggeri
   Dalle scritture (Ether 6:14-16) sappiamo che si imbarcarono Giared e sua moglie, il fratello di Giared con la relativa moglie e altri 22 amici (11 coppie); pertanto gli adulti che arrivarono alla terra promessa erano 26 persone. Essi avevano anche dei figli e delle figlie, alcuni dei quali nacquero durante la traversata che durò circa un anno. Non sappiamo esattamente quanti di loro siano arrivati a destinazione ma, se ci rifacciamo all’unico dato numerico di cui disponiamo e cioè che Giared aveva quattro figli, possiamo fare una stima ragionevole dato che le coppie di adulti furono 13. Se calcoliamo circa 4 figli per coppia, si ha un totale stimato di 52 fra figli e figlie.
   Possiamo pertanto ipotizzare che le barche portarono un totale di circa 78 anime (26+52) e, dato che sappiamo che le barche furono 8, mediamente ogni barca dovrebbe aver trasportato circa 10 persone.
   A bordo di queste imbarcazioni, trovarono posto anche armenti (buoi, vacche e cavalli), greggi (pecore e capre), animali,  volatili (galline), uccelli dell’aria, pesci di acqua dolce e sciami d’api, nonché ogni sorta di cibo per le persone e per gli animali e semenze di ogni tipo.




Il progetto dei sommergibili


Specifica di progetto
   Prima di affrontare la progettazione di questi sommergibili, occorre estrarre dalle Sacre Scritture una specifica di progetto che evidenzi le loro caratteristiche finali, descritte con parametri tecnici definiti o descritte in maniera solo funzionale, sì da permettere di approcciare le varie fasi esecutive di progettazione e quelle successive di realizzazione costruttiva, nonché ipotizzare la rotta percorsa dai natanti.
   Elenco in maniera cronologica questi requisiti allocandoli nei vari gruppi di attività.

Progettare lo scafo
-1) I natanti avrebbero dovuto resistere a piogge e diluvi e sopportare l’inabissamento a causa del rovesciamento delle imponenti creste delle onde del mare, nonché resistere alle terribili tempeste causate dalla violenza del vento.
-2)  I natanti sarebbero stati sospinti innanzi da un vento furioso che sarebbe soffiato sulla superficie delle acque, sballottandoli sulle onde del mare.

Progettare il sistema di areazione e di compensazione
-3)   Avrebbe dovuto avere un foro in alto e uno in basso per poter arieggiare l’ambiente interno quando fosse servito.
-4) Il foro superiore avrebbe dovuto avere una porta che si potesse chiudere quando l’acqua avrebbe minacciato di arrivare in alto e penetrare all’interno.

-5)  Le estremità dei natanti avrebbero dovuto essere appuntite.
-6)  La lunghezza dei natanti avrebbe dovuto essere come quella di un albero.

Progettare l’assetto statico in immersione
-7)   I natanti dovevano avere due punte, due pietre per l’illuminazione e un solo portello superiore: da questi vincoli si intuisce che doveva esserci una perfetta simmetria che potesse garantirne l’assetto statico in immersione.

Progettare l’illuminazione interna
-8)  Per l’illuminazione i natanti non avrebbero dovuto avere finestre, perché queste sarebbero state infrante dalla pressione dell’acqua e nemmeno sarebbe stato possibile accendere il fuoco.
-9)  L’illuminazione sarebbe stata ottenuta tramite due pietre per ogni natante estratte da una roccia. Bianche e chiare come il vetro trasparente, esse avrebbero fatto luce, brillando nell’oscurità, e sarebbero state disposte ciascuna ad ogni estremità di ogni natante.

Progettare un ambiente confortevole
-10)  I natanti avrebbero dovuto avere una capacità tale da trasportare mediamente dieci persone per vascello, oltre ad animali, armenti e scorte di cibo ed acqua potabile per un anno.

Realizzazione (materiali e tecnologie costruttive)
-11)  Avrebbero dovuto costruire otto natanti.
-12)  Il fondo, i lati e la sommità avrebbero dovuto risultare perfettamente stagni come lo era l’arca di Noè.
-13) La porta, una volta chiusa, avrebbe dovuto essere perfettamente stagna.

Viaggio di avvicinamento alla zona d’imbarco 
-14)  Si radunarono nella valle di Nimrod e viaggiarono nel deserto; costruirono delle imbarcazioni e attraversarono il mare ma non si fermarono al di la di esso.

Rotta oceanica
-15)  Il viaggio dei natanti, per attraversare l’oceano, avrebbe dovuto durare 344 giorni.

Progettare lo scafo
   La specifica di progetto nei punti 1 e 2 afferma che:

-1) i natanti avrebbero dovuto resistere a piogge e diluvi e sopportare l’inabissamento a causa del rovesciamento delle imponenti creste delle onde del mare, nonché resistere alle terribili tempeste causate dalla violenza del vento;
-2) i natanti sarebbero stati sospinti innanzi da un vento furioso che sarebbe soffiato sulla superficie delle acque, sballottandoli sulle onde del mare.

   La forma dello scafo pertanto assumeva una rilevanza fondamentale, al fine di garantire una stabilità che potesse far fronte alle “terribili tempeste”.
   Ritengo che la tipologia di scafo che più si adatti a soddisfare la specifica di progetto sopra riportata, sia lo scafo a forma di quffa (vedi capitolo “La quffa” nella sezione Appendice).
   Dato che questo tipo di scafo non aveva una prua né una poppa, ed era sprovvisto di vele ed era privo di alcuna guida da parte dell’uomo, sarebbe stato l’ideale per essere spinto dal vento, che poteva indifferentemente soffiare da qualsiasi parte della sua circonferenza. In queste condizioni la sua resistenza verso il mare avrebbe potuto essere uniforme, indipendentemente dalla direzione dalla quale avrebbe potuto soffiare il vento.
   Uno scafo piatto come una chiatta e di forma circolare era la condizione migliore per navigare sotto la spinta del vento, senza velatura e senza forme pre-orientate.
   E’ importante rilevare che nella scrittura originale (inglese) del Libro di Mormon, in Ether 6:7, la corretta definizione è “dish” che vuol dire piatto e non propriamente tazza come riportato nella traduzione italiana. Il piatto ha normalmente dei bordi di contenimento e questo lo rende assomigliabile ad una quffa di grande diametro (fig. 22).




 
 Inoltre, la forma praticamente circolare dello scafo avrebbe evitato una posizione di scarroccio che, invece, è un pericolo costante nelle barche a vela di forma allungata. Se questi sommergibili, spinti solo dal vento e senza timone, fossero stati fatti con una forma allungata, come una normale barca, si sarebbero posti di traverso al vento e il loro scarrocciamento, alla prima tempesta, avrebbe subito causato la scuffia (capovolgimento dell’imbarcazione).
   Per realizzare l’esigenza di stabilità del sommergibile la parte centrale della sentina, vano che sta fra il pagliuolo e la chiglia, realizzato a tenuta stagna, poteva esser riempita di pietre (fig. 23) in quanto questo accorgimento avrebbe abbassato il baricentro aumentando così la distanza dal centro di spinta idrostatica (vedi capitolo “La stabilità di un sommergibile” nella sezione Appendice).
Progettare il sistema di areazione e compensazione
   La specifica di progetto nei punti 3, 4, 5 e 6 afferma che:

-3)  Avrebbe dovuto avere un foro in alto e uno in basso per poter arieggiare l’ambiente interno quando fosse servito.
-4) Il foro superiore avrebbe dovuto avere una porta che si potesse chiudere quando l’acqua avrebbe minacciato di arrivare in alto e penetrare all’interno.
-5)  Le estremità dei natanti avrebbero dovuto essere appuntite.
-6)  La lunghezza dei natanti avrebbe dovuto essere come quella di un albero.
  
   Una caratteristica che risalta leggendo questi punti è che ogni singolo natante richiedeva che le due estremità fossero appuntite. Quest’esigenza, essendo il natante destinato a navigare alla deriva, spinto solo dai venti e dalle correnti, non era dettata pertanto dalla necessità di creare una chiglia adatta a fendere le onde, ma da altre peculiari esigenze fondamentali per un sommergibile.
   Queste sono:
a)      avere un equilibrio delle due forze che agiscono sulla struttura, vale a dire capacità di annullare la forza idrostatica esterna, che genera elevate sollecitazioni sulla struttura del natante, con una forza paritetica di contro pressione all’interno dello scafo;
b)      avere la possibilità di un ricambio dell’aria all’interno dell’imbarcazione.
   Queste due esigenze si sposano perfettamente con la richiesta, anche se descritta in maniera molto schematica, di realizzare due fori nel sommergibile: uno in basso ed uno in alto. Senza queste due aperture, il sommergibile sarebbe stato impraticabile, in quanto si sarebbe schiacciato alla prima immersione e il mancato ricambio dell’aria avrebbe fatto morire asfissiati tutti i passeggeri.

   Il foro inferiore, per assolvere alla sua funzione, doveva essere messo in comunicazione, dal centro inferiore dello scafo, con il vano della sentina per poi, attraverso un’apposita canalizzazione, accedere alle due estremità appuntite che avrebbero messo in comunicazione la parte alta del sommergibile. Queste due estremità appuntite altro non sono che due sifoni che, realizzati con un dimensionamento adeguato, avrebbero permesso di agire sull’aria all’interno del natante senza far entrare l’acqua nella zona abitata (fig. 24).


   Durante l’immersione, con apertura superiore chiusa, attraverso il foro inferiore l’acqua all’interno del condotto avrebbe messo in pressione tutto il natante con una pressione pari a quella esterna, neutralizzandone l’effetto distruttivo sulla struttura dello scafo (fig. 25).


   Quando si parla di altezza delle onde, si considera tutto il dislivello che passa fra il punto più basso e quello più alto fino alla cresta. La parte dell’onda che si abbatte su un natante, invece, è solo quella parte superiore spumeggiante che sotto la furia del vento si rovescia come una cascata.
   Per meglio comprendere la quantità di acqua che può sommergere il natante è opportuno precisare che le onde corrono sull’acqua nella stessa direzione del vento. Va evidenziato, però, che non è l’acqua che si sposta bensì solo le onde. L’onda di solito è sempre molto più lunga che alta, e diventa critica quando il rapporto tra altezza e lunghezza è di 1/7. Se l’altezza dell’onda aumenta, essa si frange e si ha uno spostamento dell’acqua che si trova sulla cresta in senso orizzontale, che sommerge il natante.
   Se noi consideriamo che l’altezza massima delle onde può arrivare a 14 o eccezionalmente a 18 metri, possiamo stimare che la cresta che trasla orizzontalmente può ricoprire il natante per un’altezza di circa 5 o 6 metri.
   Per comprendere l’importanza delle due punte, faremo ora un semplice calcolo. Una colonna di acqua alta circa 6 metri crea una carico di 0,6 kg. per centimetro quadro, per cui, su un metro quadro (10000 cm²) abbiamo un carico di 6 tonnellate. Il sommergibile, di circa 12 metri di diametro, con una conseguente superficie di circa 113 m², quando viene ricoperto da un’onda di sei metri, viene sollecitato da una forza totale di ben 678 tonnellate. E’ chiaro che, con queste forze in gioco e senza il foro inferiore, i sommergibili in legno dei Giarediti, si sarebbero subito sfasciati.

   Durante la navigazione in superficie, invece, quando il mare non fosse stato particolarmente agitato, dato che il foro superiore di questi sommergibili sarebbe stato aperto, si sarebbe generata una circolazione d’aria dovuta al beccheggio, derivante dalle onde e dall’inerzia del natante. Questo beccheggio avrebbe fatto entrare ed uscire l’acqua dall’apertura inferiore e, attraverso la canalizzazione sopra descritta, quest’effetto di pompaggio avrebbe espulso l’aria viziata interna e risucchiato quella pulita esterna, ottenendo così un efficace ricambio dell’aria.

   Come avrebbe potuto Joseph Smith, umile contadino, se avesse scritto il Libro di Mormon di sua iniziativa, senza una guida dall’Alto, con una cultura elementare e senza conoscere le problematiche di un sommergibile, pensare ai due fori e alle due punte?
   Se poi consideriamo che a tutt’oggi, negli anni 2000, alcuni teologi tradizionali, che pensano di essere istruiti a tal punto da valutarne scientificamente il contenuto, nel leggere questa parte del Libro di Mormon ci ridono sopra… non possiamo che avere la massima considerazione e rispetto verso il profeta Joseph Smith quando egli afferma che Il Libro di Mormon lui, giovane di bassissimo livello culturale, lo ha tradotto per potere divino!

Progettare l’assetto statico in immersione
   La specifica di progetto al punto 7 afferma:
-7)  I natanti dovevano avere due punte, due pietre per l’illuminazione e un solo portello superiore: da questi vincoli si intuisce che doveva esserci una perfetta simmetria che potesse garantirne l’assetto statico in immersione.

   Come descritto nell’Appendice e precisamente nel capitolo “La stabilità di un sommergibile”, la realizzazione di un assetto statico in fase di immersione è di fondamentale importanza per la sicurezza di coloro che entrano in questi natanti.
Senza un’adeguata progettazione concettuale e dimensionale, il sommergibile alla prima immersione rischierebbe di subire l’effetto bottiglia.
Certamente ognuno di noi avrà fatto l’esperienza con una bottiglia mezza piena e mezza vuota, adagiata orizzontalmente sull’acqua: sì può constatare che, al primo movimento, la bottiglia ruota di novanta gradi e si è pone verticalmente (fig. 26).


    Per questo i sommergibili sono divisi in due parti, che hanno lo scopo di tenere in equilibrio il natante (Fig. 27).


Uno dei motivi per cui i sommergibili dei Giarediti avevano due punte anziché una e due pietre per l’illuminazione anziché una è probabilmente dovuto al fatto che questi natanti erano divisi in due parti simmetriche, grazie ad un diaframma centrale (fig. 28).


   Questo diaframma divideva in due parti non solo il vano abitato ma anche il singolo foro superiore, che comunque poteva essere chiuso da un portellone unico. Quest’intelligente accorgimento evitava eventuali sfasature di chiusura che potevano avvenire, se i fori e i relativi portelloni di chiusura fossero stati due. Infatti, se uno dei due di questi fori fosse stato chiuso nella fase di inerzia del natante verso il basso e uno nella fase di inerzia verso l’alto si avrebbero avute due camere con pressurizzazioni diverse e pertanto con livelli acqua interni alle due punte diversi, che avrebbero creato così un pericoloso squilibrio.
   È interessante notare che le due punte, sporgenti verso l’esterno e verso l’alto danno una peculiare sicurezza qual’ora si verifichi uno sbilanciamento del natante dovuto allo spostamento del baricentro rispetto all’asse centrale. Infatti la sporgenza di una delle punte, in modo particolare la sporgenza verticale, sarebbe emersa quasi subito dalla fase di copertura della cresta dell’onda, diminuendo così la sua forza idrostatica verso l’alto e lasciando prevalere la forza idrostatica dell’altra punta, ancora tutta immersa nell’acqua, riportando così il sommergibile in posizione orizzontale (fig. 29).


Progettare l’illuminazione interna
   La specifica di progetto nei punti 8 e 9 afferma che:

-8)  Per l’illuminazione i natanti non avrebbero dovuto avere finestre, perché queste sarebbero state infrante dalla pressione dell’acqua e nemmeno sarebbe stato possibile accendere il fuoco.
-9)  L’illuminazione sarebbe stata ottenuta tramite due pietre per ogni natante estratte da una roccia. Bianche e chiare come il vetro trasparente, che avrebbero fatto luce, brillando nell’oscurità, e che sarebbero state disposte ciascuna ad ogni estremità di ogni natante.

   Quando i sommergibili avessero navigato con mare molto agitato avrebbero potuto essere ricoperti dalle onde dell’oceano. In queste condizioni i Giarediti avrebbero dovuto avere l’accortezza di chiudere il portello del buco superiore con la conseguenza di trovarsi poi al buio. Per ovviare a questo, il fratello di Giared salì su un’alta montagna e fuse (la versione originale in inglese, riportata in The Book of Mormon for Latter-day Saints Families pag. 612, usa il termine “molten” che è abbinabile anche al termine “melt” che vuol dire sciogliersi, liquefarsi e fondere) da una roccia 16 piccole pietre. Queste pietre erano bianche e chiare e furono poste alle due estremità dei sommergibili. Erano infatti necessarie due pietre luminose in quanto il sommergibile era diviso in due parti speculari.

   Nel 1861, dopo circa 31 anni da quando Joseph Smith pubblicò Il Libro di Mormon, Robert Bunsen e Gustav Kirchhoff scoprirono, nel minerale lepidolite, il rubidio (Rb), metallo alcalino. Questo elemento è ritenuto essere il sedicesimo per abbondanza nella crosta terrestre, anche se ben poco usato. Si sostituisce facilmente al potassio nei minerali e a ciò è dovuta la sua diffusione.
   È un elemento metallico molle, dal colore bianco-argenteo, con una lucentezza molto elevata una volta tagliato. Esso fonde a 39,9° C.
   Questo metallo ha una caratteristica particolare e pertanto, a titolo puramente informativo ma di utile riflessione, riporto quanto pubblicato recentemente dalla rivista “Nature” (Vol. 441 n. 7095). Due atomi di rubidio, che in natura si respingono, scaldati invece a temperatura molto elevata sono stati uniti dai ricercatori dell’Università di Innsbruck in un “cristallo di luce” artificiale. È anche stato dimostrato in passato che due atomi, in queste condizioni, possono fondersi e formare un unico quanto di energia, assumendo caratteristiche simili a quelle del laser.
   Tutto questo si spiega, a detta di Peter Zoller della stessa università, in quanto i due atomi di rubidio si trovano in uno stato eccitato, cioè con un eccesso di energia, che cercano di cedere per tornare allo stato fondamentale.
   A questo punto possiamo porci la domanda: “Che trasformazione è avvenuta a queste pietre affinché brillassero nell’oscurità a seguito dell’intervento del Signore che le toccò, una ad una, con il suo dito?”
   Io non ho una risposta. Ho potuto fare solo degli accostamenti scientifici. Tutto ciò, però, ci dimostra che la verità scientifica utilizzata da Dio nelle sue opere, non è poi molto lontana dai trends scientifici dell’uomo. Un giorno, le due conoscenze si sposeranno perfettamente e dimostreranno che la parola “miracolo” ha significato finché ci sarà un gap fra queste due verità. Questo gap, con il progresso tecnologico dell’uomo, si sta sempre di più riducendo.
   Quando questo gap cesserà di esistere l’uomo non avrà più bisogno della fede per credere in quanto la sua conoscenza sarà simile a quella di Dio.

Progettare un ambiente confortevole
   La specifica di progetto al punto 10 afferma che:

-10)  I natanti avrebbero dovuto avere una capacità tale da trasportare mediamente dieci persone per vascello, oltre ad animali, armenti e scorte di cibo e acqua potabile per un anno.
   I natanti che erano divisi in due parti speculari dovevano portare circa 5 persone per parte, oltre ad animali, armenti, scorte di cibo e acqua potabile per circa 11 mesi.
   Si può, pertanto, ipotizzare che ogni parte poteva essere divisa in tre vani abitabili: uno per le persone e due per le bestie. Al centro del natante poteva essere ricavato un vano per le scorte alimentari (fig. 30). È importante che questo magazzino fosse situato al centro del natante, sotto il foro centrale superiore e sopra al vano dove potevano essere state caricate le pietre di zavorra, in quanto il suo peso posto nella parte centrale dello scafo avrebbe contribuito all’assetto statico del sommergibile.


Realizzazione (materiali e tecnologie costruttive)
   Per la realizzazione dei sommergibili la specifica di progetto, nei punti 11, 12 e 13 ci dice che:

-11)  Avrebbero dovuto costruire otto natanti.
-12)  Il fondo, i lati e la sommità avrebbero dovuto risultare perfettamente stagni come lo era l’arca di Noè.
-13) La porta una volta chiusa, avrebbe dovuto essere perfettamente stagna.

   Da questa specifica si deduce che i sommergibili erano a tenuta stagna come l’Arca di Noè che era in legno di cedro calafatato con canne e spalmato da ogni lato con pece (per i dettagli vedi capitolo “Costruzione dell’Arca”).
   La costruzione di ben otto natanti doveva essere molto impegnativa pertanto è pensabile che, al fine di semplificare il lavoro, tutte le pareti fossero piatte senza parti curve, che avrebbero richiesto tempi lunghi per la piegatura delle travi. Pertanto la forma circolare ottimale poteva essere benissimo stata sostituita con una forma esagonale (fig. 31).


   Per l’assemblaggio, potevano essere usate corde di ràfia, un prodotto naturale di origine vegetale flessibile e molto resistente che si ricava da una palma che cresce in ambienti caldi della costa orientale africana.
   I sommergibili, inoltre, dovevano essere dotati di una porta esterna posta sopra alla linea di galleggiamento che, una volta chiusa, doveva essere perfettamente stagna.
   La lunghezza finale del sommergibile misurata fra le due punte poteva essere di 15 metri circa (un albero).


La rotta possibile


Studi precedenti sulla rotta di navigazione
   La Chiesa ufficiale non ha mai preso posizione su quale tipo di rotta avrebbero navigato i Giarediti. Questo perché in effetti si possono dare diverse interpretazioni a quanto scritto nel libro di Mormon. Fra gli studiosi c’è chi sostiene che essi navigarono da Est a Ovest attraversando l’Atlantico. Altri sostengono che tutta una serie di indizi suggerisce una rotta che va da Ovest ad Est, attraverso l’Oceano Pacifico.

Viaggio di avvicinamento alla zona d’imbarco 
   Il punto 14 della specifica ci dice che:

-14)  Si radunarono nella valle di Nimrod e viaggiarono nel deserto; costruirono delle imbarcazioni e attraversarono il mare ma non si fermarono al di là di esso.

   Il viaggio di avvicinamento alla zona d’imbarco era indispensabile in quanto i sommergibili potevano essere guidati solo dalle correnti e dai venti superficiali. Dovevano pertanto salpare solo da una zona dove, in seguito, queste correnti e questi venti li avrebbero portati sulla nuova terra.
   Devono essere escluse le sponde del mar Rosso da cui i venti non avrebbero permesso di far uscire i natanti. Anche quelle del Mediterraneo sono da escludere in quanto è impensabile che i natanti, e addirittura tutti e otto, potessero imboccare lo Stretto di Gibilterra prima di arenarsi su qualche costa. Anche dal mar Arabico i natanti non potevano salpare in quanto i venti lì predominanti, i monsoni invernali, li avrebbero spinti verso il Mar Rosso ingabbiandoli al suo interno o, nel periodo dei monsoni estivi, non sarebbero mai usciti dal mar Arabico stesso.
   Rimangono solo due zone da cui i natanti potevano salpare e navigare nell’oceano. Una è la costa sull’Oceano Atlantico dell’attuale città di Casablanca (Marocco) e l’altra è la costa sull’Oceano Indiano dell’attuale zona nord della Somalia a sud del Capo Guardafui.
   Se fossero salpati dall’attuale zona di Casablanca, però, i venti e le correnti avrebbero fatto sì che i sommergibili non arrivassero mai a toccare le spiagge del continente americano a causa della Corrente del Golfo che li avrebbe riportati verso il nord Europa (fig. 32).


   È da evidenziare, a sostegno di questa ipotesi, che quando Cristoforo Colombo fece il primo viaggio verso le americhe si imbatte più volte in immense distese di erbe ed arbusti gialli e verdi, che venivano trascinati al largo dalle correnti anziché arenarsi verso le coste del nuovo continente.
   In conclusione, l’unica zona d’imbarco che avrebbe permesso ai natanti di arrivare sulle coste americane rimane quella a sud del Capo Guardafui (fig. 33). Questa ipotesi è anche in coerenza con il lungo tempo impiegato dai Giarediti per raggiungere le coste del nuovo continente: circa 11 mesi.


   Il Signore fece radunare tutta la comunità dei Giarediti nella valle chiamata Nimrod. Nimrod, oltre ad essere un grande cacciatore, costituì anche un grande regno e la prima città fu Babele e per questo fu anche accusato da Dante di aver causato la confusione delle lingue; egli successivamente fondò Ninive. Pertanto è logico pensare che questa valle fosse a settentrione (Ether 2:1) della torre di Babele e sarebbe servita come campo base di raduno. Da qui la comunità iniziò un lungo viaggio inoltrandosi nel deserto. Molto probabilmente era il deserto dell’attuale penisola Arabica.
   Arrivati sulle rive del Mar Rosso, molto probabilmente all’altezza dello stretto dove la penisola arabica è più vicina all’Africa e cioè fra le coste dell’attuale Yemen e Gibuti, dove la distanza fra le coste è di solo circa quaranta chilometri. In questo luogo i Giarediti fabbricarono delle barche come avevano sempre fatto e cioè fecero dei quffa come si usava nella valle del Tigri da dove essi provenivano. Questo si desume dalla scrittura che si trova in Ether 2:16 quando il Signore dette loro le istruzioni per costruire gli scafi dei sommergibili: “… costruite alla maniera delle imbarcazioni che avete costruito finora…”. Essi infatti avevano costruito finora, oltre le quffa in Mesopotamia anche quelle per attraversare il Mar Rosso.
   La traversata del Mar Rosso può essere durata circa 6 o 7 ore in quanto poteva benissimo essere facilitata dai venti alisei che soffiano prevalentemente da Est a Ovest, cioè verso la costa Africana. Una volta sbarcati nella zona dell’attuale Gibuti camminarono fino al capo Guardafui (fig. 34).
Rotta oceanica



   La specifica al punto 15 ci dà quest’informazione:

-15)  Il viaggio dei natanti avrebbe dovuto durare 344 giorni per attraversare l’oceano.

   Gli otto sommergibili salparono dal Capo Guardafui sfruttando la brezza di terra che soffia di notte con un vento superficiale che dalla terra ferma va verso il mare. Molto probabilmente era un giorno di febbraio, in quanto i venti che avrebbero spinto i natanti verso sud potevano essere solo quelli del monsone di Nord-Est, che va dall’inizio di dicembre all’inizio di marzo. I venti pertanto li hanno senz’altro spinti nella corrente Nord Equatoriale, e dopo una lunga rotazione in senso orario, sono entrati nell’influenza dei venti che soffiano fra la costa Africana e l’isola del Madagascar per poi essere risucchiati nei venti predominanti, che generano la corrente Antartica, a sud del tropico del capricorno che soffiano da Ovest verso Est (fig. 35).
   Superate a Sud le coste Australiane e quelle della Nuova Zelanda, i sommergibili sarebbero stati spinti verso le coste del Sud America. Avrebbero risalito, grazie alle correnti fredde qui esistenti, la costa Cilena e del Perù per essere risucchiati dai venti alisei Sud Equatoriali che soffiano normalmente da Est a Ovest, allontanandosi così dalle coste del continente americano. In queste zone, però, sono frequenti i cambi direzionali dei venti grazie all’effetto El Niño.
   È possibile, pertanto, che i sommergibili siano stati spinti di nuovo verso la costa americana, dove El Niño scarica violente piogge, risalendo le coste dell’America Centrale per poi arenarsi sulla costa di Tehuantepec, luogo in cui i sommergibili si arenarono.  
   L’arenaggio dei sommergibili è avvenuto con molte probabilità nel mese di Gennaio. El Nińo, che significa “il bambino” (Gesù Bambino), soffia verso la fine di Dicembre e nel mese di Gennaio e, aiutato da una brezza di mare che avviene nel pomeriggio, ha sospinto i natanti sulla costa dell’attuale Messico.
   Tutto questo travagliato percorso fu di almeno circa 70000 km ed ebbe una durata di 344 giorni. I Giarediti pertanto navigarono ad una media oraria di 4,6 nodi (8,5 km/ora).
La velocità media, la durata di 344 giorni e la distanza totale percorsa sono elementi in sintonia con questa ipotesi di rotta. La velocità piuttosto elevata per un natante senza propulsione propria ma solo sospinto dal vento che, come dice la scrittura, “non cessò mai di soffiare” conferma la “violenza del vento” (Ether 6:6) che si abbattè sui sommergibili dei Giarediti. 

Venivano da Est?
   Nei loro annali i Giarediti hanno scritto che essi venivano da Est.
   Per determinare da quale parte essi provenivano avevano solo una possibilità cioè guardare da che parte il sole sorgeva e tramontava, correlandolo con la direzione del vento. Le stelle non erano di nessun aiuto per loro, in quanto, per una gran parte della traversata essi potevano vedere solo quelle dell’emisfero sud (stella del Sud) che non conoscevano. Occorre però considerare che i Giarediti passavano una gran parte del tempo chiusi all’interno dei natanti e pertanto nei tragitti più turbolenti, non potevano vedere il sole. La scrittura infatti ci dice che il portellone del foro superiore non era in vetro ma in legno, per resistere alla forza delle onde.
   Per comprendere se effettivamente essi provenivano da Est, occorre fare alcune considerazioni sui periodi nei quali essi potevano vedere il sole attraverso il portellone aperto.
   Occorre suddividere le zone del loro viaggio in funzione dei venti, della loro direzione e del clima che avrebbero incontrato.
Si possono ipotizzare quattro zone:
-         Zona dei monsoni invernali: caratterizzata da un clima secco e da un vento di Nord-Est; il portellone poteva essere tenuto aperto.
-         Zona delle tempeste: si trova prevalentemente nell’emisfero sud tra il 40° e il 60° di latitudine ed è caratterizzata da violenti venti occidentali (vento da Ovest); il portellone in questa zona doveva essere tenuto prevalentemente chiuso.
-         Zona dei tropici: queste zone sono caratterizzate normalmente da alte pressioni, tranquille e soleggiate e il vento, anche se debole, viene da Est; il portellone in queste zone era tenuto senz’altro aperto e addirittura i Giarediti potevano uscire in coperta.
-         Zona di El nińo: caratterizzata da un vento proveniente da Ovest e nella parte finale da violenti temporali; il portellone poteva essere tenuto aperto nella prima parte della traversata e poi chiuso durante la seconda.

   Se noi analizziamo la rotta seguita dai Giarediti tenendo presente i momenti in cui essi potevano accedere alla visibilità del sole, ci rendiamo conto come essi potevano avere l’impressione di provenire da Est mentre, in realtà, provenivano da Ovest.


Considerazioni

Preludio alla scoperta dell’America
   Se Joseph Smith era veramente un profeta e come tale ha tradotto realmente il Libro di Mormon per potere di Dio, allora non ci possono essere dubbi.
   I Giarediti hanno scoperto il continente americano prima di Cristoforo Colombo. Altri sostengono che furono i Vichinghi alcuni millenni prima di Colombo a scoprire l’America, ma anch’essi comunque sono posteriori al viaggio che fecero i Giarediti circa tremila e seicento anni prima di Colombo.
   Pertanto, se il mormonismo è vero, il nuovo mondo non è stato scoperto da un italiano o dai Vichinghi ma da un gruppo di persone conosciute come Giarediti, guidate da un certo Mahonri Moriancumr che nel Libro di Mormon è citato come “fratello di Jared” e che era vissuto durante la costruzione della torre di Babele. Fu poi guidato da Dio verso una nuova terra al fine di non confondere la lingua della loro famiglia e dei loro amici. 

I Giarediti sulla nuova terra
   Dalle tavole di bronzo che narravano la storia di questo popolo, sappiamo che la colonia dei Giarediti arrivò nella terra promessa all’incirca attorno al 2200 – 2100 a.C. e che sopravvisse sino a qualche tempo dopo l’arrivo della colonia di Lehi, il che avvenne nel 600 a. C. (vedi i capitoli relativi a “La cocca di Nefi”). Essi dovettero dunque risiedere nel continente americano per almeno millecinquecento anni.
   Dalle informazioni tramandateci dal profeta Moroni si desume che la maggior parte della civiltà giaredita si espanse a nord dello stretto istmo di Tehuantepec, che si trova nel Messico meridionale, e in parte anche nello Yucatan.
   I Giarediti raggiunsero un livello molto alto di civiltà, essa, come avvenne per altre civiltà, passò attraverso vari stadi di declino. Essi passarono attraverso il ciclo di prosperità, apostasia, giudizio, pentimento, prosperità, ecc. Essi raggiunsero un tale livello di apostasia che la malvagità diventò talmente diffusa che persero qualsiasi contatto con il Dio che li aveva condotti in quella terra.

Gli Yucatani
   Il libro di Ether afferma che i Giarediti passarono "attraverso l'oceano con delle navi simili a sottomarini". Il grande storico Bancroft parlando della prima migrazione in America afferma che "Gli yucatani hanno una tradizione che sostiene che loro vennero originariamente attraverso il mare e non sopra il mare". Il vescovo Diego de Landa nel 1556 scrisse una storia dei Maya chiamata la "relacion de las Cosas de Yucatan", in questo libro egli dichiara che i nativi affermano che i loro antenati insegnavano che i primi arrivarono dall'est aprendo dodici canali attraverso il mare. I sottomarini furono costruiti la prima volta nel 1863. Nel 1901 negli archivi nazionali di Citta' del Messico, Anthony W. Ivans, scopri' un racconto di Francisco Munoz De la Vega, un vescovo cattolico a Chiapas, che affermava che egli possedeva un antico manoscritto. Questo manoscritto dichiarava che il fondatore della loro nazione si chiamava Te-po-na-hu-ale che significava " Signore del pezzo di legno vuoto" Questo antenato era presente alla costruzione della grande torre (Babele) e che aveva testimoniato la confusione delle lingue e che poi Dio lo porto' in America grazie a speciali barche (pezzi di legno vuoti). B.G. Brinton ci dice:" I Maya affermano che i loro antenati vennero da distanti regioni in due mandate e la più antica venne dall' est attraverso o meglio sotto l'oceano, mentre la seconda mandata, venne successivamente dall'ovest (vedi capitolo che tratta “I gauloi dei Mulekiti).

Joseph Smith… un innovatore?
   Lo studioso americano Hugh Nibley ha detto:
“Nulla nel Libro di Mormon ha suscitato maggiori derisioni e critiche della storia riportata nel secondo e nel terzo capitolo del Libro di Ether, riguardante le navi dei Giarediti e la loro illuminazione per mezzo di pietre luminose”.
   I denigratori del Libro di Mormon fino a pochi anni or sono poggiavano il loro ragionamento sulla conoscenza storica, scientifica e geografica di circa un secolo fa. Oggi tali conoscenze hanno avuto una tale accelerazione da capovolgere completamente queste scettiche affermazioni.
   Se noi pensiamo che Joseph Smith ha:
-         tradotto tutto il Libro di Mormon in circa due mesi
-         pubblicato il Libro di Mormon nel 1830
-         frequentato solo le scuole elementari
dobbiamo assolutamente chiederci: come ha fatto a dare delle indicazioni così basilari, che si integrano perfettamente con le esigenze nautiche moderne, per arrivare a progettare un sommergibile funzionante senza essere in contrasto con nessuna parola scritta nei capitoli di Ether?

   Se noi facciamo un elenco delle cose che Joseph Smith non poteva sapere, sia per la sua scarsa cultura e sia perché in quei tempi molte cose, che oggi scientificamente e storicamente sono conosciute, allora non lo erano, ci rendiamo conto che il Libro di Mormon non solo non poteva essere un’opera inventata da Joseph Smith, ma nemmeno poteva essere stata scritta da un uomo molto acculturato di allora.
   Joseph Smith sostiene che lui ha tradotto questo libro dalle tavole di bronzo per mezzo del potere di Dio. Anche uno scettico, se vuole essere obiettivo, non può che prendere in seria considerazione quest’affermazione di questo giovane di campagna.

   Concludo riportando un breve elenco delle cose che Joseph Smith non poteva conoscere nel 1829:

-1) l’assetto statico in immersione (1898 - 1911);
-2) che gli Yucatani erano arrivati dalla torre di Babele su natanti cavi e sotto le acque (1901);
-3) che il viaggio avrebbe dovuto durare circa 11 mesi in quanto il percorso nell’oceano poteva essere solo quello attraverso l’Indiano e il Pacifico;
-4) che la pressione dell’acqua avrebbe potuto schiacciare il natante;
-5) che un sommergibile per funzionare bene doveva avere un foro sopra e uno sotto (1898 - 1911);
-6) che per eliminare o ridurre le forti pressioni esterne sullo scafo servivano delle casse di compensazione (punte);
-7) che per evitare sfasature operative pericolose, dovute all’inerzia del natante, il foro superiore doveva chiudersi con un solo sportello;
-8) conoscere la natura dei venti oceanici (effetto Coriolis 1835);
-9) conoscere l’esistenza del rubidio, in quanto questo fu scoperto solo nel 1861;
-10) sapere che gli atomi di una “pietra”, il rubidio, debitamente trattati  potevano emettere un fascio di luce (20° secolo).

   Certamente Joseph Smith era un personaggio eclettico ma il vero innovatore era Gesù Cristo, il quale dette le istruzioni necessarie ai Giarediti per costruire i sommergibili.

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